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Tfs, ora basta: gli statali non possono più attendere

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Dante gli ha dedicato un canto dei più famosi, il III dell’Inferno, perché la sua disapprovazione nei loro confronti era massima, del resto erano quella “setta d’i cattivi, a Dio spiacenti e ai nemici sui”. Il peggio del peggio: dannati neanche degni di entrare dentro l’Ade, perché per superficialità o tornaconto erano incapaci di decidere tra il bene e il male. Gli ignavi, che come dice Virgilio: “Fama di loro il mondo esser non lassa/misericordia e giustizia li sdegna/ non ragionar di loro, ma guarda e passa”. E invece bisogna guardarli bene, fin dentro gli occhi e non passare oltre, ma anzi ricordar loro il grande peccato di cui sono responsabili. E’ quello che abbiamo appena fatto noi di Confsal-UNSA, spedendo alla Presidente del Consiglio e ai presidenti di Camera e Senato, un sollecito formale perché finalmente si possa sanare il vulnus anticostituzionale che discrimina i lavoratori pubblici rispetto a quelli privati. Questi ultimi al momento di andare in pensione ottengono in pochi mesi tutto il Tfr, i lavoratori pubblici possono aspettare anche sette anni per incassare il proprio Tfs, e devono anche riceverlo a rate.

Tfs agli statali, una mini-riforma dopo la Consulta

Sono anni che aspettiamo che una nuova legge cancelli le regole eccezionali stabilite nel 2010 in nome dell’emergenza conti pubblici e ben due sentenze della Corte Costituzionale, in risposta a ricorsi promossi dal nostro sindacato, non solo ci hanno dato ragione in punta di diritto, dichiarando incostituzionali queste norme, ma hanno messo in mora Governo e Parlamento intimando loro di chiudere ope legis questo sbrego ai diritti di quasi 4 milioni di lavoratori. Invece niente, l’ignavia regna sovrana e nessuno si muove. O meglio, lo hanno fatto solo i 5 Stelle, che hanno recentemente presentato una proposta alla Camera, per imporre il pagamento del Tfs entro tre mesi dall’andata in pensione, versando se non l’intera cifra almeno una parte consistente. Certo, i grillini avrebbero potuto depositare la loro richiesta nella scorsa legislatura, durante la quale sono stati sempre in maggioranza e per lo più hanno anche guidato il governo con Giuseppe Conte premier di due diverse (e consecutive) coalizioni, ma tant’è, loro almeno l’ignavia stanno cercando di scrollarsela di dosso, gli altri no. Ed è grave.

Non ci sono margini di fraintendimento rispetto all’opinione della Consulta. La Corte Costituzionale ha già sancito con la massima chiarezza che non c’è differenza tra Tfr e Tfs, perché anche quest’ultimo non è altro che una forma di “retribuzione differita con concorrente funzione previdenziale, nell’ambito di un percorso di tendenziale assimilazione alle regole dettate nel settore privato dall’art. 2120 del codice civile”. C’è da aggiungere, inoltre, che essendo retribuzione differita il Tfs, secondo la Corte, rientra nei confini dell’art. 36 della Costituzione, quello che sancisce il diritto del lavoratore “ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

Sul Tfs degli statali Consulta ignorata

Per essere ancora più chiari, nella sua ultima sentenza del 2023 la Corte ha anche specificato che in nessun modo gli escamotage messi in campo dal Governo attraverso accordi con l’Inps e con le banche per concedere anticipazioni di parte del Tfs (in cambio però di un pagamento di interessi più o meno alti da parte del lavoratore) possono essere considerati una riparazione del vulnus, visto non risolvono il vizio costituzionale della norma di riferimento, riconoscendo all’avente diritto “la sola possibilità di conseguire immediatamente quanto dovuto mediante strumenti finanziari aventi carattere oneroso”.

Tfs, arrivano i prestiti dell’Inps all’1% per 10.000 dipendenti pubblici

Per la Consulta, quindi, non c’è alternativa alla emanazione di una nuova legge che garantisca parità di diritti fra i lavoratori, aggiungendo “che non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine ai gravi problemi individuati nella pronuncia”. Da questo orecchio, però, sono troppi a non sentirci. A caldo, subito dopo la decisione della Corte, il Governo aveva annunciato un provvedimento, limitato ai soli lavoratori in procinto di andare in pensione di vecchiaia (quindi a 67 anni). Una sorta di prestito garantito, in cui gli interessi sarebbero stati a carico dello Stato e non del lavoratore. Ma della norma, che doveva essere inserita nella legge di Bilancio, non se ne è più saputo niente, perché quando si parla dei diritti dei lavoratori alla fine la porta resta sempre chiusa, e qualcuno, tanto per rimanere al già citato canto III dell’inferno, ci vorrebbe anche scrivere sopra: “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”. Ma noi non molliamo e dai e dai riusciremo a sfondarla quella porta, così da poter uscire e finalmente “riveder le stelle”.

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