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Statali, ogni mese l’inflazione si mangia 342 euro di stipendio. Allarme di Confsal-Unsa

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Nella Pa l’inflazione erode in media 342 euro al mese dalle buste paga degli statali, ovvero circa 4.448 euro l’anno. A lanciare l’allarme è Confsal-Unsa, il sindacato che edita PaMagazine. «La pazienza sta per finire. Al governo che si appresta a varare il Ddl per la legge di bilancio 2024 rammentiamo che i Ccnl dei dipendenti pubblici sono scaduti da 20 mesi», tuonano in un comunicato congiunto Massimo Battaglia (Confsal-UNSA) e Giuseppe Carbone (FIALS-Confsal). E ancora. «Nel tempo come UNSA abbiamo evidenziato come i rinnovi contrattuali, nelle quantità e nelle tempistiche, non abbiano rispettato il corretto trend rivalutativo e oggi tali dinamiche sono maggiormente gravate da un’inflazione che sta erodendo pesantemente le retribuzioni», sottolinea il segretario generale Massimo Battaglia. Insomma, l’emolumento una tantum e il taglio del cuneo non bastano neanche lontanamente a coprire quel vuoto in busta paga creatosi per vie del mancato rinnovo dei contratti e del caro-prezzi che ha caratterizzato l’ultimo anno e mezzo.

Il comunicato

«Di fronte alle criticità attuali – aggiungono Battaglia e Carbone – non possiamo più accettare divagazioni, rinvii o altre giustificazioni sui rinnovi contrattuali e sulle risorse da mettere a disposizioni. I dati sull’inflazione sono impietosi: nel 2022 è arrivata all’8,1%, mentre quest’anno si attesta al 5,8%». Il calcolo è presto fatto. Secondo l’Istat oggi una retribuzione deve essere rivalutata con un coefficiente pari a 1,139 per avere analogo potere del 2021. «Nel 2021 una retribuzione media era pari a 32.000 euro, che a fronte di una rivalutazione dell’1,139 diventerebbero 36.448,00. All’appello manca dunque un incremento annuale di 4.448 euro, corrispondente a 342,15 euro in più al mese», evidenzia il comunicato firmato da Confsal-UNSA e FIALS-Confsal.

Il segeratrio generale Massimo Battaglia

Per Massimo Battaglia la sabbia nella clessidra è finita. «Siamo pronti alla mobilitazione. La questione salariale nel pubblico impiego non è più rinviabile. Se il governo non risponderà siamo pronti ad un nuovo ricorso davanti alla Corte Costituzionale sul rinnovo dei contratti», annuncia il segretario generale di Confsal-UNSA.

Quante promesse

In questa fase, complice una legge di bilancio povera (poverissima) di risorse, il ministro della Funzione pubblica, Paolo Zangrillo, è costretto a esercitarsi nell’arte dell’equilibrismo. Da un lato «ribadisce il suo impegno e quello del governo a reperire le risorse per avviare i rinnovi» e dall’altro spiega che bisogna agire «tenendo i piedi saldi a terra e facendo attenzione alla stabilità dei conti pubblici». Un mese fa, in un’intervista rilasciata a PaMagazine, il ministro ha anche specificato che l’impegno a reperire le risorse per avviare i rinnovi ha un orizzonte ben più lungo di quello rappresentato dalla prossima manovra finanziaria, visto che «sono state necessarie ben quattro leggi di bilancio per chiudere l’ultima tornata». Parole che non lasciano presagire nulla di buono. Il fatto è che per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego servirebbero almeno 10 miliardi. Che il governo non ha. Ecco perché si rafforza con il passare delle settimane l’ipotesi che venga rinnovato il prossimo anno il bonus una tantum dell’1,5% della retribuzione, anche se da Palazzo Vidoni non arrivano conferme in tal senso. Ma l’emolumento quest’anno ha portato nelle tasche della maggior parte degli statali meno di 30 euro in più al mese, troppo pochi per mettere al riparo dall’inflazione il potere di acquisto dei dipendenti pubblici. È stato un po’ come dare un ombrellino per i cocktail a una persona in mezzo a una tempesta di pioggia.

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