La speranza è che il governo trovi le risorse da inserire in legge di Bilancio per avviare, dopo gennaio, le trattative per i rinnovi dei contratti dei dipendenti pubblici. Ma è una speranza che balla come la luce di una candela sul davanzale di una finestra, considerati tutti i conti da pagare, basti pensare agli 80 miliardi del superbonus ormai fuori controllo o alla partita previdenziale per evitare il ritorno alla legge Fornero. Risultato: stando a quanto trapela da fonti parlamentari, si valuta in questa fase la possibilità di replicare il prossimo anno l’emolumento una tantum, ovvero l’aumento dell’1,5 per cento dello stipendio degli statali per tredici mensilità. Emolumento che però ha il sapore di una mancia, tenuto conto che quest’anno, nella maggior parte dei casi, porta meno di trenta euro nelle tasche dei lavoratori dello Stato. Ecco perché per rendere il bonus più accattivante da un lato, e meno irritanti dall’altro i ritardi sui rinnovi dei contratti, non è nemmeno esclusa al momento la possibilità che l’asticella dell’incremento salariale venga rivista al rialzo nel 2024 (si ragiona su un +2%). Del resto, come denunciato da Confsal-UNSA, complici i mancati aumenti strutturali l’inflazione erode dalle busta paga degli statali 342 euro al mese in media.
L’allarme
I contratti dei dipendenti pubblici sono scaduti da 20 mesi, ha denunciato Confsal-UNSA in questi giorni. E, chiaramente, non sarà l’eventuale aumento dell’una tantum a trasformare quest’ultima in una panacea. Ecco i conti del sindacato: «I dati sull’inflazione sono impietosi: nel 2022 è arrivata all’8,1%, mentre quest’anno si attesta al 5,8%. Secondo l’Istat oggi una retribuzione deve essere rivalutata con un coefficiente pari a 1,139 per avere analogo potere del 2021. Ciò significa che per una retribuzione media, pari nel 2021 a 32.000 euro, oggi manca all’appello un incremento annuale di 4.448 euro, corrispondente a 342,15 euro in più al mese». Per il segretario generale di Confsal-UNSA, Massimo Battaglia, non c’è più tempo. «Di fronte alle criticità attuali non possiamo più accettare divagazioni, rinvii o altre giustificazioni sui rinnovi contrattuali e sulle risorse da mettere a disposizioni. Se il governo non risponderà siamo pronti ad un nuovo ricorso davanti alla Corte Costituzionale sul rinnovo dei contratti», annuncia Battaglia.
La priorità
Intanto, a Palazzo Vidoni, casa Zangrillo, bocche cucite. Nessuno per ora si sbilancia sull’ipotesi di un bis dell’emolumento una tantum. Questo però non significa che il ministro non sia al corrente della scadenza imminente del bonus. Il titolare della Funzione pubblica sa bene che milioni di statali si stanno chiedendo se a gennaio dovranno subire o meno una “decurtazione” dello stipendio per effetto del mancato rinnovo dell’una tantum (oltre al danno la beffa, insomma). Tuttavia, il ministro adesso è concentrato sui rinnovi e probabilmente ritiene che in questo momento una sua apertura al bis dell’emolumento potrebbe essere interpretata come una resa sul fronte dei contratti. Resta il fatto che quella della proroga dell’aiuto resta oggettivamente l’unica strada percorribile. Ci ha visto lungo la Corte dei Conti in primavera. «In attesa dei fondi per il rinnovo dei contratti scaduti nel 2021», si legge nella relazione sul coordinamento della finanza pubblica della Corte, «a fine anno si esaurisce l’una tantum da un miliardo che, per il solo 2023, ha offerto un aumento lineare dell’1,5 per cento agli stipendi nella Pa. A fronte delle elevate stime previste per il recupero dell’inflazione e del persistere della dinamica dei prezzi core oltre le attese, appare difficile non prevederne l’estensione»