Ministeri costretti a spendere per risparmiare. Nei dicasteri, per traguardare gli obiettivi in materia di spending review, si punta su una costosa campagna di reclutamento, tesa a rafforzare le strutture che si occupano di analisi, valutazione e monitoraggio della spesa. Per gli esperti, le nuove assunzioni e gli accordi con le università, sono stati messi a disposizione quest’anno 20 milioni. I ministri ne potranno spendere altri 55 nei prossimi due anni (25 nel 2024) per potenziare le squadre di analisti chiamate a indicare le voci di spesa da mettere a dieta.
Spending review, mi piaci tu
Dal 2016 la spending review è stata integrata all’interno del ciclo di bilancio dello stato. L’attenzione fin qui si è concentrata solo sul controllo della spesa a legislazione vigente e i risultati hanno spesso lasciato a desiderare. Con la “Riforma del quadro di revisione della spesa pubblica” prevista dal Pnrr, è in vigore dal quarto trimestre del 2021 la disposizione legislativa per migliorare l’efficacia della revisione della spesa. Per esempio, è stato istituito il Comitato scientifico per le attività inerenti alla revisione della spesa, presieduto dal Ragioniere generale dello Stato.
Il conto
Ai ministri sono stati chiesti tagli per due miliardi di euro. Quest’anno nei dicasteri la spending review ha superato la soglia degli 800 milioni richiesti, ma per centrare l’obiettivo dei due miliardi servono adesso scelte più coraggiose. Il governo, dalla sua, ha stabilito una serie di criteri per l’individuazione delle voci di spesa su cui intervenire. Il ministero che dovrà ridurre di più le proprie spese tra il 2024 e il 2026 è quello del Tesoro, con 650 milioni di euro di tagli in agenda. Seguono il ministero delle Imprese e del Made in Italy, a quota 200 milioni di euro, e il ministero della Difesa (193 milioni).
L’inflazione
A ogni modo negli ultimi anni la spesa per la gestione della pubblica amministrazione è aumentata in termini assoluti quasi solo per effetto della crescita dell’inflazione. Nella cosiddetta spesa per i consumi finali sono compresi gli stipendi del personale, l’acquisto di attrezzature e altri beni necessari per offrire servizi ai cittadini. Tra il 2017 e il 2022 questa spesa è passata da 322 miliardi a oltre 371 miliardi di euro, con aumenti costanti ogni anno che, a eccezione di quello avvenuto tra il 2019 e il 2020, sono giustificati dalla crescita del costo della vita. Nel 2022, a cavallo tra il governo Draghi e il governo Meloni, la spesa per la gestione della pubblica amministrazione ha superato i 371 miliardi (+5 per cento), con un aumento lievemente più basso del tasso di inflazione registrato quell’anno (+8,1 per cento).