Smart working, si cambia. Il nuovo inquilino di Palazzo Vidoni, Paolo Zangrillo, è stato chiaro in questi giorni: subito dopo la nomina ha annunciato che avrebbe adottato un atteggiamento più laico sul lavoro agile rispetto al suo predecessore, Renato Brunetta. Quest’ultimo ha disciplinato per la prima volta lo smart working nella Pubblica amministrazione, insistendo in particolare su un punto, ovvero sul principio della prevalenza del lavoro in presenza sul lavoro agile. Le linee guida di Brunetta sul lavoro agile stabiliscono infatti che la quantità di ore trascorse a lavorare da remoto deve essere inferiore al 50% del totale delle ore lavorate.
La svolta
Al contrario, Paolo Zangrillo, che ha alle spalle una lunga carriera nel privato, in veste di specialista delle risorse umane, non sembra intenzionato a confermare l’obbligo della prevalenza del lavoro in ufficio. Quello che conta di più, per il neo ministro, è il raggiungimento dei risultati. Questo non vuol dire che i dipendenti pubblici potranno essere impiegati al 100 per cento da remoto, anche perché come ha fatto notare lo stesso Zangrillo diventerebbero in questo modo dei liberi professionisti a tutti gli effetti. Tuttavia la soglia di lavoro agile consentito potrebbe presto essere rivista al rialzo.
I numeri
Nella Pa, del resto, lavorano in smart working circa 600-700mila lavoratori al momento. Nel privato la quota di smart worker in attività è decisamente più elevata. Va detto però che non tutte le amministrazioni pubbliche sono compatibili con il lavoro agile: ci sono per esempio ministeri, come quello delle Infrastrutture e dei Trasporti, che mal si sposano con il lavoro da remoto, e altri, come invece il ministero dello Sviluppo economico (ora ministero delle Imprese e del Made in Italy), dove i dipendenti “smartabili” sono la maggioranza. Sta quindi alle singole pa individuare i lavoratori che possono essere impiegati da remoto, in che misura e a quali condizioni.
Le condizioni
Per cambiare le regole di ingaggio sullo smart working serviranno nuove linee guida. «Intendo procedere cercando di comprendere con quali modalità possiamo utilizzare questo strumento, perché pensare che si possa rinunciare al lavoro agile significherebbe confermare che la pubblica amministrazione è diversa dalle altre organizzazioni», ha sottolineato il ministro Zangrillo. Come detto, tutto dipenderà dalla capacità degli smart worker di raggiungere i risultati e dal grado di soddisfazione che utenti e imprese esprimeranno sui servizi resi da remoto. «Si passa da una logica di controllo a una logica di verifica dei risultati. Lo smart working si può fare ma a determinate condizioni», ha aggiunto il numero uno di Palazzo Vidoni. E ancora: «Nelle poche istituzioni pubbliche che hanno effettuato una qualche forma di monitoraggio del lavoro agile si è riscontrato un effetto positivo in termini di produttività solo nel 44,8% dei casi, un livello non soddisfacente».