I versi di John Donne, poeta e chierico di età elisabettiana, citati da Ernest Hemingway all’inizio di Per chi suona la campana?, sono forse l’esergo più famoso della letteratura contemporanea: “Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te”.
Parole che, al di là della loro forza poetica, andrebbero tenute a mente anche leggendo le cronache politiche di queste settimane, incentrate per lo più sul nodo del salario minimo, la questione che sta dividendo la maggioranza di governo, restia ad accettare un principio che è legge in 21 stati europei su 27 e un’opposizione che per una volta è unita sulla richiesta di fissare una soglia minima vincolante di 9 euro lordi all’ora per qualsiasi retribuzione e quindi per qualsiasi contratto in vigore. Vista dal fronte del pubblico impiego questa disputa sembra alquanto lontana, perché per quanto non manchino nel comparto seri problemi di natura contrattuale, non ci sono fra i dipendenti pubblici retribuzioni orarie inferiori a quella soglia. Eppure, per dirla con Donne, la campana del salario minimo suona anche per il comparto statale, dove i contratti pirata, grazie all’esternalizzazione di molti lavori e funzioni, sono ormai presenti da anni.
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Basta prendere il caso dei servizi di vigilanza per i quali è prevista una soglia minima a 6 euro, messa nero su bianco all’interno di un contratto nazionale di lavoro rinnovato anche con la firma di Cgil, Cisl e Uil. Una quota minima messa in discussione in queste settimane da diverse sentenze della magistratura, come quella emessa dalla Corte d’appello di Milano che ha condannato la cooperativa Servizi Fiduciari Sicuritalia a versare a un ex dipendente 23.144,41 euro, sostenendo che una retribuzione “che nemmeno raggiunge la somma netta di 1.000 euro, non è idonea a consentire al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa, che non deve risolversi in un mero diritto alla sopravvivenza”.
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Per i magistrati milanesi, quindi, un salario netto mensile che nel 2020 raggiungeva i 685,25 euro è ben al di sotto della soglia minima di povertà (che secondo l’Istat, per un singolo che viva in un’area metropolitana del Nord Italia, è di 839,78 euro) e quindi contrasta con l’art. 36 della Costituzione, che stabilisce che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Ancora più drastica la decisione della Procura milanese, che ha addirittura messo sotto indagine per caporalato e sfruttamento dei lavoratori 23 persone, tra cui il proprietario della Mondialpol, sequestrando in maniera preventiva 25 milioni al Consorzio Mondialpol Facility Scarl, Mondialpol Service spa, Vedetta 2 Mondialpol.
Per ottenere la revoca del provvedimento l’azienda ha alzato le retribuzioni del 20% a partire da settembre ed ha annunciato un percorso che porterà nei prossimi anni ad un aumento del 38%. Lo stesso consorzio ora ammette: “Abbiamo individuato nella posizione della magistratura la via per sostenere i lavoratori al fine di superare un momento economicamente difficile e, da qui, la decisione di aderire a queste indicazioni è stata immediata”.
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Se la soglia minima retributiva per i lavoratori dei servizi di vigilanza è talmente bassa da essere in contrasto con l’articolo 36 della Costituzione, lo stesso si può dire per altri tipi di lavoro che rientrano nella categoria dei multiservizi, come quelli che riguardano gli addetti alle pulizie (in media guadagnano 810 euro netti al mese, cioè circa 6,90 euro lordi all’ora) o ai servizi di ristorazione, dai bar interni ai pubblici uffici fino ai servizi mense nelle scuole (anche qui la retribuzione media è di 810 euro al mese), ma l’elenco sarebbe lunghissimo.
Si tratta, insomma, di lavoratori che operano fianco a fianco ai dipendenti pubblici, portando avanti servizi indispensabili al funzionamento stesso degli uffici pubblici e il cui datore di lavoro, in ultima istanza, è sempre lo Stato o una sua articolazione. Uno Stato che ha scelto la formula dell’esternazionalizzazione o se vogliamo usare un termine più cool, dell’outsourcing, per tagliare i costi. Ma si tratta per lo più di un risparmio che, per l’effetto perverso del meccanismo del massimo ribasso nelle gare di appalto, quasi sempre si traduce in stipendi da fame per chi lavora. E allora, tornando a bomba, ci vuole poco per capire che sul salario minimo la campana suona anche per il datore di lavoro pubblico, anche se opera per interposto appaltatore.