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Riforma fiscale: tre aliquote Irpef e lotta all’evasione

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Riforma fiscale, ci siamo. Dalla riduzione degli scaglioni Irpef, all’abolizione dell’Irap e la revisione dell’Ires, tra le altre misure, la delega messa a punto dal viceministro dell’Economia Maurizio Leo, dovrebbe approdare in Consiglio dei ministri la prossima settimana, o al più tardi quella successiva. Una rivoluzione a 360 gradi del sistema che spazia dalle imposte all’accertamento, dalla riscossione al contenzioso. Il provvedimento indicherà le misure, poi toccherà ai decreti attuativi disporre nel dettaglio le norme esecutive.

Irpef, si taglia uno scaglione  

Dopo la riduzione operata dal governo Draghi, che aveva fatto scendere gli scaglioni da 5 a 4, il governo punta ad una ulteriore riduzione a quota tre degli scaglioni Irpef, con relativo ritocco delle aliquote. Tra le ipotesi allo studio ci sarebbe quella di accorpare gli scaglioni centrali e prevedere uno schema con aliquota al 23% per i redditi fino a 15mila euro, al 27% per i redditi da 15mila euro a 50mila euro e 43% per redditi oltre i 50mila euro. In questi mesi, il gruppo di studio sulla riforma, creato al Mef ha elaborato diversi schemi di tenuta di un sistema a tre aliquote. “Penso che ci siano le condizioni per arrivare a un sistema a 3 aliquote, ci stiamo lavorando con la Ragioneria” ha detto il viceministro Leo. Per recuperare il mancato gettito si ricorrerà a una revisione, riduzione, delle agevolazioni fiscali, detrazioni e deduzioni, che ormai ammontano a oltre 600 e che, ha rilevato Leo, “cubano circa 156 miliardi” di mancate entrate. “Là si può intervenire. Se si fa una revisione attenta si possono trovare le risorse per calibrare meglio le aliquote”. Il precedente governo per ridurre le aliquote Irpef ha messo in bilancio una copertura di 7 miliardi di euro per i mancati incassi. Ora il governo Meloni tenta di andare oltre, ma agire sull’Irpef è impresa delicata se non altro perché si opera sul primo pilastro del sistema fiscale (l’altro è l’Iva). Secondo il Preconsuntivo del bilancio dello Stato diffuso oggi dal Mef, nel 2022 l’Irpef ha portato alle casse dell’erario 205,8 miliardi di euro. Di questi 81 circa provengono dai dipendenti del settore pubblico e 85,6 dai dipendenti del settore privato. Per avere un’idea delle proporzioni, le entrate tributarie complessive nel 2022 sono state 544,5 miliardi. L’Iva, pagata dai consumatori finali, ne vale 171,6 miliardi.

Lotta all’evasione  

La riforma punta a rivedere il sistema di accertamento per rafforzare la lotta all’evasione alle frodi, oggi stimata intorno ad un valore che oscilla tra gli 85 e 100 miliardi annui. La strategia del è stata già tracciata: l’Agenzia delle Entrate abbasserà un po’ la guardia, rinunciando al pugno duro e tendendo la mano. Mai più ganasce fiscali o pignoramenti di stipendi e pensioni. Tuttavia, in cambio, il cittadino moroso dovrà pagare. Meno o molto meno a secondo dei casi, ma comunque dovrà versare. Famiglie e imprese potranno scegliere la rateizzazione graduale, oppure saldare con un ulteriore sconto evitando le sanzioni. In pratica si tratta degli strumenti bonari previsti, o meglio ampliate dal Governo, per l’attuale pace fiscale. Parola d’ordine: comprensione. “Dovevi effettuare i versamenti periodici e non l’hai fatto – sintetizza una fonte impegnata sulla riforma – e allora io ti dico: mi versi l’imposta, non ti applico le sanzioni, e te le dilaziono nel corso del tempo”. Insomma il contribuente che purtroppo non ha potuto pagare viene messo in condizione di poter versare in un certo lasso temporale. La strategia di fondo è stimolare la compliance spontanea, in modo da recuperare le somme dovute, in maniera più efficiente ed evitando annosi contenziosi. In questa prospettiva, in futuro, per le grandi imprese si pensa ad un rafforzamento della già esistente cooperative compliance, mentre per i più i piccoli l`istituzione di un concordato preventivo biennale. Si paga il dovuto, quantificato sulla base di un`interlocuzione preventiva con l`Amministrazione finanziaria. La logica che ispira queste mosse governative parte da un dato di fatto che neppure l’opposizione mette in discussione: la riscossione delle tasse, che pure è migliorata negli ultimi 15 anni dopo la riconversione dai privati allo Stato, continua a non funzionare perfettamente, tanto che nel tempo si è accumulato uno stock di cartelle esattoriali di millecento miliardi. Circa ventitré milioni di italiani hanno una cartella esattoriale sul tavolo (in totale si tratta di 140 milioni di atti) e la Corte dei Conti ha spiegato che di questi arretrati si può recuperare appena il 7%.  

Revisione Ires.  

Il ddl dovrebbe prevede anche una rivisitazione dell’imposta sul reddito delle società. L’aliquota di base, secondo le ipotesi di lavoro, resterebbe al 24% ma potrebbe calare al fino al 15% per le imprese che destinano gli utili agli investimenti in innovazione o alle assunzioni degli ex percettori di Rdc, donne o over 50.

Stop all’Irap  

Nel provvedimento dovrebbe figurare il progetto di abolizione dell’Irap, l’imposta regionale sulle attività produttive.

Semplificazione versamenti  

Con la riforma potrebbe arrivare, tra le altre misure di semplificazione, anche la trimestralizzazione dei versamenti allineandoli ai versamenti Iva, con eccezione per il mese di dicembre.

Controlli  

Con la delega si punta ad una semplificazione dei rapporti delle aziende con il Fisco. Per le più piccole si ricorrerebbe ad un uso incrociato delle banche dati disponibili su fatturazioni e Iva. Sulla base di quelle conoscenze, ove necessario, si avvierebbero su vasta scala concordati preventivi biennali, con accertamenti più intrusivi per le imprese che non accettano. Per le imprese maggiori potrebbe invece venire estesa la cooperative compliance.  

Capital gain, si cambia 

Resta dibattuto il nodo della tassazione dei redditi da capitale. In base all’attuale legislazione, sono tassati al 26%, con una serie di eccezioni (come il 12,5% sui titoli di stato, la cedolare secca al 10%). L’ipotesi su cui si lavora è quella di prevedere due diverse aliquote, che riguarderebbero sia le rendite finanziarie sia quelle immobiliari. Con ogni probabilità la quantificazione delle stesse sarà rinviata ai decreti attuativi, ma ci sono tensioni all’interno della maggioranza, che vuole raggiungere un accordo di massima su questo punto prima di inserire la modifica nella legge delega. L’ipotesi potrebbe essere il doppio binario del 15% e 26%, che lascerebbero quindi invariata la tassazione massima introducendo però una nuova percentuale del 15.

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