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Pensioni statali, mancano 40 miliardi di euro

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Un buco da 40 miliardi di euro. Ma adesso si vede una toppa all’orizzonte. Dieci anni di blocco del turn over (con conseguente stop alle assunzioni) e anche gli scivoli introdotti dai vari governi, a partire da Quota 100, hanno inceppato i conti pubblici previdenziali degli statali, mandandoli in rosso. Le statistiche del Centro studi Itinerari Previdenziali parlano chiaro. I dipendenti pubblici in pensione, si legge nei documenti resi disponibili con il rapporto presentato alla Camera dal presidente Alberto Brambilla, sono 3,1 milioni e ogni mese percepiscono una pensione media di 2.062 euro.

Equilibrio

Affinché il sistema sia in equilibrio, il rapporto tra lavoratori e pensionati dovrebbe essere all’incirca di 1,5. La gestione, insomma, è sbilanciata: le pensioni dei dipendenti pubblici costano infatti circa 82 miliardi di euro, le entrate non arrivano a 43 miliardi. Ma, come spiega il Rapporto, il quadro futuro è in «evoluzione». Il turn over è stato sbloccato, e ogni anno ora sono previste circa 170 mila assunzioni. Ma, soprattutto, con la manovra finanziaria è arrivata una prima “correzione” del sistema previdenziale dei dipendenti pubblici. Il riferimento è al ricalcolo delle quote retributive delle pensioni dei medici, dei maestri, degli infermieri, dei dipendenti comunali e degli ufficiali giudiziari. Un taglio dei futuri assegni che ha fatto molto discutere e che è stato parzialmente corretto dal governo. Ma che comunque farà risparmiare nei prossimi due decenni una decina di miliardi di euro alle casse pubbliche. In linea, generale, comunque, il sistema previdenziale tiene. I pensionati tornano a crescere lievemente nel 2022 a quota 16,13 milioni, ma gli occupati aumentano più rapidamente sfiorando i 23,3 milioni (oltre 400mila in più in un anno) facendo salire il rapporto tra le due grandezze a 1,44.

I numeri

Secondo il rapporto di Itinerari previdenziali il sistema è sostenibile purché si ponga «un limite alle troppe eccezioni alla riforma Monti-Fornero (in termini di anticipo pensionistico) e all’eccessiva commistione tra previdenza e assistenza cui si è assistito negli ultimi anni». Il sistema , quindi, grazie alla crescita del lavoro e dei contributi, ma è appesantito dall’aumento della spesa per l’assistenza. Secondo il Rapporto nel 2022 ha raggiunto quota 157 miliardi, +126% in 10 anni. Per il welfare nel complesso (previdenza, assistenza e sanità) in Italia si sono spesi nel 2022 559,5 miliardi (+6,2% sul 2021), dedicando a questi settori oltre la metà (il 51,65%) della spesa pubblica totale. Ma se la spesa per il welfare nel complesso in dieci anni è aumentata del 29,3% quella previdenziale ha segnato un +17% (meno della crescita del Pil) e quella assistenziale un +126%. Su 16,13 milioni di pensionati nel 2022 oltre 6,55 milioni (il 40,61%) sono totalmente (3,75) o parzialmente (3,88) assistiti. Per pagare sanità, assistenza e welfare degli enti locali, sostiene il rapporto, non bastano le imposte dirette, ma bisogna ricorrere a una parte di quelle indirette. Dopo il crollo dovuto al Covid e alle misure di lockdown, sottolinea poi il report, crescono nuovamente le entrate contributive, che salgono dell’8% rispetto al 2021, toccando quota 224,94 miliardi di euro, valore ampiamente superiore a quello pre-pandemico.

Nel complesso, la spesa pensionistica di natura previdenziale comprensiva delle prestazioni Ivs (invalidità,vecchiaia e superstiti), è stata nel 2022 pari a 247,588 miliardi, per un’incidenza sul Pil del 12,97%, in riduzione rispetto al 13,42% dello scorso anno. Al netto degli oneri assistenziali per maggiorazioni sociali, integrazioni al minimo e Gias (Gestione degli interventi assistenziali) dei dipendenti pubblici, l’incidenza scende al 11,72%, dato più che in linea con la media Eurostat. La percentuale cala addirittura all’8,64% escludendo anche i circa 59 miliardi di imposte (Irpef) che in molti Paesi dell’Unione o di area Ocse sono molto più basse, quando non del tutto assenti, sulle pensioni.

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