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Pensioni, riforma congelata: si va verso una Quota 103 bis

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Ancora un anno con Quota 103. E poi, dal 2025, tutti in pensione con 41 anni di contributi previdenziali, a prescindere dall’età anagrafica. Ecco lo schema (che suona come una beffa, considerate le promesse elettorali formulate da larga parte della maggioranza) che ha in testa il governo, alle prese con il complicato rebus della riforma della pensioni. Al centro dei problemi, per palazzo Chigi, c’è la necessità di mettere a punto un meccanismo che consenta uscite anticipate dal lavoro alternative al ritorno della legge Fornero che prevede il pensionamento a 67 anni di età con 41-42 di contributi.

I tempi

La soluzione definitiva e strutturale dell’esecutivo Meloni prevede, come detto, il prepensionamento universale con 41 anni di contributi. Ma per realizzare il progetto, a regime, occorrono 8-9 miliardi di euro. Una copertura finanziaria eccessiva per la prossima legge di Bilancio. Tanto da consigliare una frenata e un rinvio di ben due anni. Occorre ricordare che, attualmente, Quota 41 è riservata solo ai lavoratori precoci (in attività prima dei 19 anni di età) e ad alcune categorie di addetti a mansioni gravose. Una soluzione minimal determinata, appunto, dalla modesta quantità di risorse finanziarie a disposizione e dalla necessità di evitare uno scontro con l’Europa, che vigila sulla riforma previdenziale. Così, per superare lo stallo, il governo confermerà, come detto, per un altro anno Quota 103 (in pensione anticipata con un minimo di 41 anni di contributi e 62 di età anagrafica) finanziando l’operazione con ulteriori tagli al Reddito di Cittadinanza. La road map si concluderebbe nel 2025 rendendo Quota 41 possibile per tutti i lavoratori. Per il prossimo anno nulla cambierà nella struttura di Quota 103 che è uno strumento basato sul sistema delle “quote”, come la ormai vecchia Quota 100 (che ha visto uscire meno della metà dei potenziali beneficiari).

Il tetto

Per chi sceglie questo prepensionamento il governo ha previsto un tetto massimo per l’assegno pensionistico che non potrà essere superiore a 5 volte il valore dell’assegno minimo. Un limite da rispettare fino al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia (67 anni con almeno 20 anni di contributi versati). Per chi decide di andare in pensione con questa strada non ci sarà alcuna penalizzazione in merito al criterio di calcolo dell’assegno, ma solo un tetto massimo per il trattamento riconosciuto. In pratica si applicherà il sistema retributivo – assegno calcolato sullo stipendio – sulla anzianità acquisite sino al 31 dicembre 1995 e, poi, il sistema contributivo – assegno calcolato solo sui contributi versati –  dal 1° gennaio 1996. Tuttavia, chi decide di entrare in questa finestra, fino a maturazione dei requisiti dell’età per la pensione di vecchiaia non potrà ricevere, come detto, un assegno superiore a 5 volte quello minimo, ossia sopra i 2.850 euro lordi. Quindi, tra i 62 e i 67 anni (età necessaria per la pensione di vecchiaia) chi sceglie Quota 103 dovrà rinunciare a un trattamento superiore a 5 volte l’assegno minimo. Dai 67 anni in poi, invece, riceverà l’assegno che gli spetta secondo la sua specifica situazione contributiva.

Importi

Occorre a questo proposito ricordare che, attualmente, le pensioni minime ammontano a 525 euro mensili circa, ma che nel 2023, secondo quanto stabilito dalla legge di Bilancio, aumenteranno fino a 574. Per questa ragione, considerando una pensione minima di 574 euro, chi va in pensione prima dei 67 anni di età non potrà ricevere un assegno pensionistico superiore a 2.850 euro. Viceversa, se il parametro è il trattamento minimo del 2022, il tetto sarà a 2.625 euro. Occorre ricordare che, sul versante previdenzia­le, il governo governo Draghi si era già mosso sul fronte dei prepensionament­i, accarezzando in particolare l’idea della soluzione “s­oft”. Vale a dire la messa a punto un me­ccanismo che consenta il prepensionamento a 63 anni calcolan­do l’assegno con il metodo contributivo integrale. Per chi avesse aderito, ci sarebbe stato un taglio medio del 3 per cento annuo per 4 anni. E poi, allo scoccare dei 67 anni di età, ci sarebbe il ritorno alla pen­sione piena. È “l’ip­otesi Tridico”. E ci­oè una soluzione, escogitata dal presidente dell’Inps  in due tempi utile a su­perare, in maniera morbida, lo scoglio del ritorno alle legge Fornero, che risch­ia di incagliare mig­liaia di lavoratori creando una disparità rispetto a chi, ne­gli ultimi tre anni è riuscito a raggiun­gere il prepensionam­ento.

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