“Quando si vive troppo a lungo si perde il diritto di essere compatiti al momento della morte”, diceva Franz Joseph Emil Fischer, eminente chimico vissuto a cavallo tra Otto e Novecento. Se però venisse colto il suggerimento implicito inserito nel XXII rapporto annuale Inps, da poco presentato in Parlamento, i rischi per i pensionati longevi sarebbero anche altri e riguarderebbero direttamente i loro assegni mensili.Nel testo, infatti, si evidenziano alcuni squilibri che, a giudizio degli autori, determinerebbero un’”ingiustizia” del sistema. Analizzando nel dettaglio l’andamento dei vari fondi e comparti gli esperti dell’Ente previdenziale hanno scoperto che chi prende pensioni basse vive in media di meno di chi percepisce assegni più alti. Estremizzando si può sintetizzare così: l’aspettativa di vita di un operaio è più bassa di quella di un manager, il problema, però, è che al momento dell’uscita dal lavoro il calcolo dell’ammontare della futura pensione si fa sulla base di un coefficiente di trasformazione che è unico per tutti, in quanto calcolato sull’aspettativa di vita media degli italiani. Di tutti gli italiani.
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Nel rapporto Inps si legge quindi che le differenze nella speranza di vita, «si scontrano con l’utilizzo di un coefficiente di trasformazione unico per il calcolo della pensione che risulta fortemente penalizzante per i soggetti meno abbienti il cui montante contributivo viene trasformato in una pensione più bassa di quella che otterrebbero se si tenesse conto della loro effettiva speranza di vita. Viceversa i più abbienti ottengono pensioni più elevate di quelle che risulterebbero da tassi che tengono conto della effettiva durata media della loro vita».
Colpiti dalla reazione causata da questi passaggi, che in un primo momento non erano stati evidenziati dai media ma poi sono stati rilanciati con risalto da un articolo del Messaggero, L’Inps si è affrettata a smentire che la sua sia una proposta operativa di ricalcolo del coefficiente per fasce di reddito, derubricando il tutto ad analisi della realtà sottoposta alle valutazioni dei decisori, ossia Governo e Parlamento. Ma anche prendendo per buona questa precisazione resta il fatto che se chi paga le pensioni dice che il sistema sul quale vengono calcolate è iniquo e sperequativo il messaggio non può essere tanto neutro. Del resto le cifre sono cifre, e allora però vanno prese in esame tutte. Così nello stesso documento si evince che l’aspettativa di vita delle donne è superiore a quella degli uomini, quindi che si fa? Si modifica il coefficiente anche per sesso, penalizzando le pensioni delle donne per incrementare quelle degli uomini.
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Anche le regioni nelle quale si vive, però, incidono sull’aspettativa di vita che, a onta di ogni retorica sul sole, il mare e le altre bellezze del sud dimostra che i pensionati del Trentino Alto Adige, per esempio, campano più dei siciliani. Bisogna quindi introdurre delle gabbie pensionistiche che, al contrario di quelle salariali invocate da più parti, rendano più leggere le pensioni del Nord e più pesanti quelle del Sud. Non solo, si potrebbero prendere in considerazioni anche gli stili di vita. Chi ha fatto sempre sport vive in media più di chi ha passato la sua esistenza migrando da un divano all’altro, si dovrebbero modificare i coefficienti anche in base a questo? Che dire poi della contrapposizione tra astemi e devoti a bacco o tra fumatori incalliti e fieri avversari delle Big Tobacco o perché nodella tradizionale conflittualità tra scapoli e ammogliati? Ci sono fior di statistiche che dimostrano che ognuna di queste categorie ha un’aspettativa di vita diversa da quella che gli si contrappone. Ci vuole un coefficiente diverso per ognuna di esse? Fuor di polemica forse sarebbe bene che cominciasse a prevalere il buon senso.
Il tema pensionistico è di quelli assai complessi, da trattare con cautela. Anche chi ha dedicato tutta la vita a studiare la questione ed era certamente animata dalle migliori intenzioni, come Elsa Fornero, nel varare la sua riforma sottovalutò l’aspetto di scalini e scaloni trovandosi poi davanti al problema doloroso degli esodati, per risolvere il quale ci sono voluti anni ed anche parecchi soldi. Il sistema è squilibrato sugli estremi? Può essere, ma non a caso da anni è in corso un riequilibrio attraverso la rivalutazione differenziata delle pensioni (a vantaggio di quelle più basse e a danno di quelle più alte) e attraverso i contributi di solidarietà. Eppure anche queste misure, che si pensa di riproporre anche prossimamente, già non sono passate indenni al vaglio della Corte Costituzionale. Una sentenza della Consulta ha ribadito infatti nel 2020 che tali norme non solo devono essere temporanee ma devono anche avere una durata “ragionevole”, tre anni e non i cinque inizialmente previsti. Figuriamoci una ripartizione del coefficiente di trasformazione per fasce retributive, regioni e magari sesso! E non dimentichiamo che, come diceva Schopenhauer: “anche per i più longevi, la vita è troppo breve in relazione ai progetti fatti”.
Ciò è assurdo!! Comparare il tempo della vita alla pensione!! Allora, i mega stipendi ai parlamentari, amm.ti delegati ed a tutte quelle categorie di persone con stipendi e pensioni d’oro? Non ci sono limiti all’ingiustizia. Proposta imbarazzante e priva di fondamento. La vita come la pensione, è un diritto inviolabile. Ai pensatori di tale scempio, lunga vita!!!