Niente Quota 103 per le donne del pubblico impiego. Il prossimo anno sarà possibile lasciare il lavoro con 41 anni di contributi e 62 di età, a patto però di accettare il ricalcolo contributivo dell’assegno che è molto penalizzante. Inoltre, per i dipendenti pubblici la finestra mobile per il pensionamento è stata spostata in avanti e fatta salire a 9 mesi contro gli attuali tre. Da qui il nodo: oggi le lavoratrici sia del pubblico che del privato possono andare in pensione con 41 anni e 10 mesi di contributi e quindi con Quota 103 le statali anticiperebbero di soli 4 mesi la pensione. Il gioco, inutile dirlo, non vale la candela. A evidenziare questo aspetto è stato l’Ufficio parlamentare di bilancio. La presidente dell’Upb, Lilia Cavallari, in occasione dell’audizione davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, ha anche sottolineato che «le misure in ambito pensionistico vanno nella direzione di un cambiamento di visione rispetto agli ultimi anni».
L’analisi
«La manovra introduce norme che incideranno strutturalmente sull’evoluzione della spesa pensionistica con effetti di consolidamento a medio-lungo termine come ad esempio il ricalcolo della quota retributiva delle pensioni degli iscritti ad alcune Casse di lavoratori pubblici e l’anticipo dello sblocco dell’adeguamento alla speranza di vita dei requisiti di pensionamento anticipato», ha aggiunto la presidente dell’Upb. Il ricalcolo della quota retributiva per alcune categorie di lavoratori pubblici, ha fatto notare sempre l’Ufficio parlamentare di bilancio, ha un impatto finanziario significativo: «Da oggi al 2043 i risparmi cumulati ammonterebbero a 32,9 miliardi (21,4 al netto della fiscalità), la maggior parte dei quali si realizzeranno negli anni in cui è atteso il manifestarsi della gobba pensionistica. Tuttavia, nei prossimi anni e fino al 2028-2030 il ricalcolo richiede un sacrificio a livello individuale, parzialmente compensabile negli effetti con un posticipo del pensionamento di uno o due anni».
La soluzione
Dal Tesoro hanno lasciato intendere che è molto difficile in questo momento rinunciare all’operazione di riequilibrio delle aliquote di rendimento tra i dipendenti pubblici, con un impatto nel 2043 di 3,5 miliardi. E i margini di manovra per sostituire il ricalcolo per gli assegni di medici e maestre con altri interventi sono a dir poco ridotti. Una via di uscita, per quanto stretta, però ci sarebbe. Il tema è stato affrontato nei giorni scorsi durante il vertice, interlocutorio, tra il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, quello del Lavoro Marina Calderone e il ministro della Salute, Orazio Schillaci. All’inizio la penalizzazione dovuta alla revisione dei coefficienti di calcolo della quota retributiva della pensione potrebbe scattare solo nei confronti di chi lascia il lavoro in anticipo, almeno nei primi due anni, il prossimo e il 2025. Dopodiché anche chi andrà in pensione a 67 anni dovrebbe fare i conti con la tagliola. Insomma, si ragiona su una sorta di salvagente a tempo. Del resto la misura l’anno prossimo produrrebbe appena 18 milioni, ma molti, moltissimi, malumori.