Sul dopo Quota 100 il dibattito accelera. Anche perché a fine anno le norme sul pensionamento anticipato a 62 anni con 38 di contributi scadranno. L’ultima voce sul tema è quella della Corte dei Conti. La questione del dopo Quota 100 è stata affrontata dai magistrati contabili nel Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica. All’interno del lungo documento, che affronta tutto l’andamento dei conti pubblici nell’ultimo anno, sul sistema previdenziale c’è un lungo capitolo. Che parte da un’analisi proprio dei risultati di Quota 100.
I QUOTACENTISTI
Al 31 gennaio 2021, spiega il rapporto, il numero di pensioni complessivamente liquidate con Quota 100 risultava pari a 278 mila, prevalentemente riferibili a lavoratori maschi del settore privato. Nell’ultimo anno, tuttavia, si è registrata una impennata di domande (e di uscite) nel settore pubblico. La crescita delle richieste di pubblici dipendenti è stata del 90 per cento. L’anzianità media di contribuzione di chi ha fatto domanda per Quota 100 è risultata pari a 40 anni, di cui 19 nel sistema retributivo (erano 24 anni nel 2019). Sono proseguiti anche i pensionamenti in deroga attraverso gli altri due principali canali di uscita anticipata, Opzione donna e Ape sociale: nel 2020 sono state accolte rispettivamente 16.300 e 10.800 domande. Un dato interessante, contenuto nel rapporto, è il numero limitato di “quotacentisti puri”. Ossia di persone che sono uscite con il requisito dei 62 anni e dei 38 di contributi. Nel 2019 sono stati solo 5 mila, il 3 per cento del totale. Nel 2020 sono saliti al 9 per cento. Un numero comunque limitato.
OLTRE QUOTA 100
Ma il punto principale resta capire cosa fare a fine anno quando Quota 100 andrà a scadenza. Sarebbe importante, scrive la Corte dei Conti, superare “in avanti” Quota 100. Andrebbero confermate, aggiunge, le direttrici di fondo della riforma di cui alla legge 214/2011 (la legge Fornero) e rimossi così quegli elementi di incertezza che hanno avvolto un processo riformatore. Cosa significa esattamente? Secondo i magistrati contabili sono stati molti gli istituti, introdotti dalla legge Fornero in poi, che hanno garantito una mitigazione dei suoi impatti, in casi mirati e meritevoli di attenzione. Il riferimento, in particolare, è a Opzione donna e all’Ape sociale. La prima permette alle donne di anticipare il pensionamento a 58 anni accettando un ricalcolo con il sistema completamente contributivo dell’assegno pensionistico. La seconda via d’uscita è riservata ad alcune categorie di lavori gravosi e consiste in un assegno fino a 1.500 euro mensili per 12 mensilità, erogato fino al raggiungimento dei requisiti della pensione. Alcuni di questi strumenti, secondo la Corte dei Conti, potrebbero essere eventualmente e ulteriormente potenziati per tener conto delle indubbie situazioni di criticità generate, in taluni segmenti di lavoratori, dalla crisi sociosanitaria.
IN PENSIONE A 64 ANNI
Ma resta il tema della regola generale. Ossia l’età di uscita che, dopo la fine di Quota 100, tornerebbe inesorabilmente ai 67 anni. Sarebbe utile, scrive la Corte dei Conti, considerare l’ipotesi di costruire, eventualmente con gradualità ma in un’ottica strutturale, un sistema di uscita anticipata che converga su una età uniforme per lavoratori in regime retributivo e lavoratori in regime contributivo puro. Ai lavoratori in regime pienamente contributivo, spiegano i magistrati contabili, la legislazione vigente già garantisce la possibilità di andare in pensione a 64 anni con 20 di contributi e un assegno di importo pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale. Insomma, nel sistema contributivo se un lavoratore ha maturato una pensione di almeno 1.300 euro mensili, può lasciare il lavoro a 64 anni. Questo significa, spiega la Corte dei conti, che in una prospettiva non molto lontana, potrebbero porsi dei problemi di equità di trattamento tra assicurati che pur avendo iniziato a lavorare a pochissima distanza gli uni dagli altri, avranno l’opzione di lasciare il lavoro con diversi anni di differenza. Le età insomma, sembra essere il messaggio, andrebbero equiparate. Questo significa che anche per chi si trova nel sistema retributivo o misto, andrebbe introdotta un’uscita flessibile a 64 anni. Ma la Corte lascia anche intendere che questo debba essere fatto tenendo conto degli “elementi di equità attuariale” propri del sistema contributivo. L’uscita anticipata a 64 anni, dunque, dovrebbe avvenire probabilmente con un ricalcolo dell’assegno che renda equa l’uscita anticipata con chi incassa una pensione pienamente contributiva.
Bene quota. 102 se non è possibile prorogare quota 100
Io sarei per quota 41 per tutti così ognuno è libero di scegliere il da farsi ha seconda di che lavoro uno svolge!
41 per tutti, e per chi non ha raggiunto i requisiti lavorasse fino a 70 e non che va in pensione con 20 anni di contributi, troppo comodo lavorare in nero per una vita e poi sfruttare i soldi di chi ha lavorato una vita