Prosegue senza sosta lo svuotamento degli organici nella Pubblica amministrazione. I dati pubblicati dal ministero dell’Economia mostrano che al 31 dicembre (rispetto allo stesso giorno del 2020) c’è stata una diminuzione di 30 mila dipendenti, frutto di una crescita degli esodi di 206 mila unità, insufficientemente compensata da 176 mila nuovi ingressi. Il fenomeno dello spopolamento della Pa viene da molto lontano.
I numeri
I dati del dicastero di Via XX Settembre indicano che nel decennio 2011-2021 tutti i sei comparti, ad eccezione di quello dell’Istruzione e Ricerca, registrano tassi di turn over quasi sempre negativi, indicando ciò una riduzione di personale pubblico continua e generalizzata. I comparti che presentano la perdita più elevata di personale sono quelli delle Funzioni locali e delle Funzioni Centrali, quest’ultimo con una riduzione particolarmente elevata nell’ultimo anno. Vale a dire circa il 50%. Un indicatore, in particolare, fornisce una ulteriore evidenza degli effetti del blocco del turn over. Ad eccezione del comparto Istruzione e ricerca, fino all’anno 2017 tutti i comparti registrano un rapporto inferiore a uno – soglia che indica l’invarianza nella consistenza complessiva del personale; dal 2018 si registra il superamento dell’unità nel comparto della Sanità, per gli enti del Comparto autonomo o fuori comparto e per il Personale in regime di diritto pubblico. In particolare, proprio il comparto delle Funzioni centrali ha il più basso rapporto di sostituzione; il tasso medio nel decennio considerato è pari a 0,32, con il minimo nel 2015 (0,13) ed il massimo nel 2019 (0,52). Ciò significa che mediamente nel decennio c’è stato un solo nuovo assunto a fronte di tre cessazioni e che nel 2019, la possibilità di sostituzione integrale delle cessazioni è stata utilizzata solo per metà. Tale possibilità è scesa ad un quinto del 2020, quando le procedure di reclutamento sono state ostacolate dall’emergenza sanitaria. Per la Sanità, per il comparto autonomo o fuori comparto e per il Personale in regime di diritto pubblico, il tasso di sostituzione medio nel decennio è stato pari a pari a 0,85, 0,90 e 0,84.
Nuove assunzioni
Con questi valori ci sono circa 1,2 cessazioni per ogni assunto. In questo quadro, è evidente che il ripopolamento degli uffici pubblici appare indispensabile per far funzionare la burocrazia. E c’è da sperare che la promessa del ministro Renato Brunetta (100 mila assunzioni quest’anno e 1,3 milioni entro il 2026) possa essere mantenuta, nonostante alcuni intoppi nella macchina dei concorsi. Il turn over, peraltro, dovrà essere coordinato con la riforma previdenziale. Dopo la fine del triennio sperimentale di Quota 100, governo e sindacati trattano da alcune settimane per trovare una soluzione che risolva la patata bollente delle uscite anticipate dal lavoro. Per i sindacati la formula è sempre la stessa, nulla cambia da tempo: i lavoratori devono poter scegliere di andare in pensione a 62 anni di età e 20 di contributi o 41 anni di contribuzione senza paletti sull’età anagrafica. Ma per il momento nulla si muove ed il governo resta fermo e non cede sull’asticella dei 67 anni. Quota 102 (il meccanismo transitorio escogitato per il 2022) scadrà a fine anno e l’idea del governo è di passare poi a quota 104 per progressivamente, nel corso degli anni, tornare alla Fornero con una uscita solo per vecchiaia a 67 anni d’età.