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Manovra, statali in fondo alla lista delle priorirità

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Il menù è ricco. Ma per il momento i piatti restano vuoti (e quelli degli statali rischiano sul serio di riempirsi solo per l’antipasto, bene che andrà). Nemmeno il conto finale della manovra ormai in gestazione è chiaro. Trenta miliardi? Quaranta? Nessuno lo sa. Dipenderà dai margini di azione, oggetto di una trattativa con l’Europa, per riuscire ad alzare il deficit. E dai risparmi di spesa. Così è finito con un nulla di fatto il primo vertice sulla manovra. Il governo, per adesso, non scopre le carte e fa solo trapelare che quello in arrivo sarà un “anno complesso”, che palazzo Chigi è pronto ad affrontare con “determinazione e serietà”. Quello che si sa, o meglio che si percepisce, è che le poche risorse saranno concentrate su salari, sanità, famiglie e pensioni. E il fisco? Il nodo maggiore da sciogliere riguarda la proroga del cuneo fiscale per il quale, però, servono la bellezza di 12 miliardi. e il pubblico impiego? La ristrettezza finanziaria, paragonata alle tante cose da fare, renderebbe quasi impossibili i margini per finanziare i rinnovi e una riforma strutturale della Pa, così come previsto dal Pnrr. Del resto si sa, quando ci sono sacrifici da fare, gli statali sono sempre i primi a essere chiamati “alla cassa”.

La beffa

Le priorità sono altre e i dipendenti pubblici, contratti compresi, sono in fondo alla lista. Negli ultimi giorni la premier Giorgia Meloni ha ribadito i punti fermi: rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale e intervenire con una serie di sostegni in favore dei redditi più bassi e delle famiglie numerose facendo però attenzione all’uso delle risorse. Il provvedimento sul cuneo consentirebbe di lasciare nelle buste paga dei dipendenti fino a 100 euro in più al mese, per contrastare la corsa dell’inflazione, e da solo pesa circa 10 miliardi di euro. Per le spese indifferibili (a cominciare da quelle militari) sarebbero necessari tra i 5 e i 6 miliardi. Alcune analisi ipotizzano una finanziaria da circa 30 miliardi di euro, tuttavia le risorse appaiono limitate e inevitabilmente il governo sarà chiamato a operare delle scelte. Molto dipenderà, come annotato più volte dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, da come si concluderà la trattativa in corso a Bruxelles sul rinnovo del patto di stabilità. Difficile, comunque, ipotizzare il ricorso a nuovo deficit dopo quello generato durante gli anni della pandemia.


Nel secondo trimestre del 2023 il Pil italiano è diminuito dello 0,4% rispetto al trimestre precedente ed è cresciuto dello 0,4% nei confronti del secondo trimestre del 2022. L’agenzia Bloomberg ipotizza che il deficit dell’Italia nel 2023 potrebbe essere “molto piu’ ampio, vicino al 5%” del Pil. L’obiettivo sul deficit fissato nella Nadef era del 4,5%. Tra i fattori che influenzerebbero la proiezione ci sarebbe l’effetto del Superbonus. Per dare un’idea delle difficoltà, al omparto della sanità, messo duramente alla prova dalla pandemia, dovrebbero essere destinati appena 3 miliardi con misure sullo sfoltimento delle liste d’attesa e la decontribuzione dei salari. E sulle pensioni? Nessun intervento strutturale solo ritocchi. Probabilmente avremo Quota 103 anche nel 2024 e questo consentirà a chi ha 62 anni e 41 di contributi di andare in pensione anticipatamente. Sulle pensioni minime si cercherà di allargare il più possibile la platea per sostenere gli assegni bassi. E per ottenere risorse, il governo valuterà se redistribuire l’adeguamento all’inflazione delle pensioni, come è stato fatto lo scorso anno per alzare le minime. Sui salari, l’obiettivo è potenziare la contrattazione collettiva e dare risposte ai rinnovi. Ma i soldi, come detto, sono pochissimi.

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