L’inflazione è un conflitto. Una guerra tra le aziende, i lavoratori e i contribuenti. Si combatte per non rimanere con il cerino in mano. Non essere quelli che alla fine dovranno pagare il conto dell’aumento dei prezzi. La guerra finisce quando si trova un equilibrio. Questa sintesi di cosa stia avvenendo da un anno a questa parte l’ha fatta Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo monetario internazionale. E per capire quanto quello che dice Blanchard sia vero, basta volgere lo sguardo a quanto sta accadendo, per esempio, nel Paese europeo al momento più colpito dalla spirale inflazionistica: la Gran Bretagna.
In Inghilterra è in corso un’ondata di scioperi. Sono scesi in piazza, per ora separatamente, infermieri, autisti di autobus, e altre categorie. Il prossimo primo febbraio oltre mezzo milione di dipendenti pubblici hanno deciso di scioperare tutti nello stesso giorno contro la linea “dura” del governo, che ha respinto le richieste dei sindacati di aumenti di stipendio in linea con l’inflazione che ha raggiunto il 10,5 per cento nel Paese. Lo Stato, nel conflitto descritto da Blanchard, ha una doppia veste in questo caso: di datore di lavoro e di percettore delle tasse dei contribuenti. A frotne di un governo irremovibile, in Gran Bretagna i sindacati stanno coordinando sempre più le proprie mosse. Anche perché c’è un forte sostegno dell’opinione pubblica. Sostegno che deriva, molto probabilmente, dalla circostanza che il peso dell’inflazione grava su tutti i lavoratori e i consumatori.
Il governo inglese ha reagito introducendo una nuova normativa contro gli scioperi, lo Strike bill. Se la legge sarà approvata, il governo potrà fare causa ai sindacati che indicono scioperi e permetterà ai datori di lavoro di licenziare i dipendenti che vengono richiamati in servizio per garantire i servizi essenziali ma che decidono di scioperare lo stesso. Una involuzione rispetto al diritto di sciopero, secondo il Trade Union Congress, che rappresenta 48 sindacati e 5,5 milioni di lavoratori. Anche in Francia sta accadendo qualcosa di simile.
In piazza è sceso un milione di lavoratori per protestare contro la riforma delle pensioni del governo Macron, che vorrebbe portare da 62 a 64 anni l’età del pensionamento. Anche Oltralpe siamo nel pieno del conflitto su chi deve pagare il conto finale della crisi economica e dell’inflazione. La Francia ha aumentato in maniera rilevante il suo debito pubblico per rispondere prima alla pandemia e adesso alle sfide della crisi energetica e del caro prezzi. I conti vanno riportati sotto controllo. All’inizio della crisi inflazionistica fu lo stesso Macron, che ora vacilla, a sostenere che “l’era dell’abbondanza era finita”.
L’Italia sembra ancora assopita. Anestetizzata dagli aiuti alle bollette e dagli sconti per le accise. Nel conflitto tra imprese, lavoratori e contribuenti, sono stati per adesso questi ultimi a sobbarcarsi il costo dell’inflazione. Ma questo periodo è terminato. A gennaio lo sconto sulle accise della benzina è stato eliminato. Ad aprile andranno a scadenza gli aiuti sulle bollette. Il prezzo del gas è vero, sta scendendo, ma è sempre a livelli tripli rispetto alla media degli scorsi anni. Più di tutto però, preoccupa l’aumento dei beni, soprattutto quelli alimentari. Gli effetti dell’inflazione degli scorsi mesi, in parte assorbiti dalle imprese anche grazie agli aiuti dello Stato, si sta scaricando sul carrello della spesa.
Il conto finale dell’inflazione dunque sta per arrivare sui lavoratori. Da quasi un anno Confindustia alza le mani e pone un freno a qualsiasi ipotesi di aumento dei salari per non alimentare la “spirale inflazionistica”. Ad aumentare le buste paga deve provvedere lo Stato con il taglio del “cuneo contributivo”. Meno contributi all’Inps a parità di pensioni. Ancora una volta la proposta è di caricare il costo dell’inflazione sui contribuenti. Nel pubblico impiego vale lo stesso principio. Nessuna risorsa, salvo qualche blanda promessa, per il rinnovo dei contratti. Anche i dipendenti pubblici dovranno accontentarsi delle limitate riduzioni del cuneo contributivo. La guerra insomma, per ora, la stanno perdendo contribuenti e lavoratori.