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INTERVISTA AL MINISTRO DELLA PA, PAOLO ZANGRILLO: «Statali in pensione a 70 anni per affiancare i giovani e aiutarli a crescere»

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Il ministro per la Pa Paolo Zangrillo

«Nessuno pensa di costringere gli statali a lavorare oltre l’attuale età pensionabile, ma credo sia necessario ragionare sulla flessibilità in uscita su base volontaria». Così il ministro della Funzione pubblica, Paolo Zangrillo. Che aggiunge: «Si diventa anziani sempre più tardi e la vita attiva è più lunga rispetto al passato, per questo stiamo valutando lo stop ai pensionamenti automatici». Ma in questo modo non si rischia di rallentare il ricambio generazionale nella Pa? «La Pubblica amministrazione è impegnata in una massiccia campagna di assunzioni, che nel 2024 e nel 2025 porterà ad inserire nei nostri uffici circa 350 mila persone oltre alle 173 mila già assunte lo scorso anno. Per la prima volta dopo tanto tempo abbiamo registrato un abbassamento, seppure lieve, dell’età media dei dipendenti pubblici. Il ricambio generazione è iniziato, ma il trasferimento delle competenze richiede del tempo. Trattenere in servizio un numero limitato di persone con l’assenso dell’amministrazione e del lavoratore, in modo che affianchino i nuovi assunti con compiti di tutoraggio, mi pare una idea su cui ragionare». Anche il limite agli stipendi dei super manager è in discussione. Perché? «Ricoprire grandi responsabilità richiede competenze specialistiche e capacità manageriali che non si comprano gratis. Come sapete provengo dal privato e conosco bene le dinamiche retributive: in maggioranza non ne abbiamo ancora parlato ma, se il nostro obiettivo è quello di avere una classe dirigente all’altezza delle sfide che attendono la pubblica amministrazione, la riflessione è inevitabile».

Cosa deve attendersi il comparto pubblico dalla prossima manovra di bilancio? «L’attenzione del governo nei confronti delle persone della Pubblica amministrazione è massima. Lo abbiamo dimostrato stanziando nella scorsa legge di bilancio ben 8 miliardi di euro, un terzo dell’intero valore della manovra, per il rinnovo dei contratti pubblici. È stata una scelta importante e sicuramente coraggiosa che ci ha permesso non solo di chiudere la tornata 2019-2021, ma anche di avviare tempestivamente quella successiva per il triennio 2022-2024, un evento che definirei eccezionale perché non succedeva da almeno 10 anni. Sul tema risorse, il dialogo con il Ministero dell’Economia è continuo e, lo ribadisco, stiamo esplorando tutte le possibilità». Quest’anno sono già stati banditi più di 13mila concorsi pubblici. I candidati giovani sono in crescita? «I giovani sono essenziali per affrontare le sfide della trasformazione digitale. Dobbiamo offrire loro la possibilità di fare esperienza nelle amministrazioni pubbliche abbandonando l’idea che si tratti soltanto di un “posto fisso” per introdurre tutto quello che le nuove generazioni cercano oggi in una occupazione: opportunità di crescita, aggiornamento costante, possibilità di fare carriera sul merito e non solo per anzianità. Ecco perché la Pa sta puntando su una formazione continua e su percorsi di crescita professionale come upskilling e reskilling, fondamentali per rimanere competitivi in un contesto che cambia velocemente. Questi strumenti non solo aiutano i dipendenti a migliorare, ma rendono la Pa un luogo dove le competenze possono svilupparsi davvero. I numeri dimostrano che questa strategia sta funzionando: da inizio anno abbiamo bandito circa 13 mila concorsi, per un totale di oltre 280 mila posti messi a bando. La partecipazione è altissima». Le amministrazioni pubbliche oggi hanno più facilità a reperire i profili con elevate competenze? «Il mercato del lavoro è competitivo e, soprattutto per i profili tecnici, la sfida è riuscire ad attrarre candidati che abbiano non solo le competenze richieste, ma anche uno spirito di servizio alla comunità. Da quando sono arrivato a Palazzo Vidoni sono stati fatti passi avanti significativi. La digitalizzazione è diventata un punto centrale, con nuovi strumenti che facilitano sia il reclutamento che la gestione dei concorsi. Prima, infatti, partecipare a un concorso pubblico era una specie di odissea: ci volevano in media 780 giorni per completare una procedura concorsuale. Una vita! Oggi, grazie alla digitalizzazione dei processi, i tempi si sono ridotti notevolmente, arrivando a circa sei mesi. Un grande miglioramento rispetto al passato: la digitalizzazione favorisce l’inserimento dei profili necessari nei vari settori. Non si tratta solo di velocità. Stiamo migliorando infatti anche la qualità delle assunzioni, puntando su giovani con competenze avanzate e pronti a portare innovazione». Sta cambiando anche il modo di valutare le performance degli statali. «Le progressioni di carriera non possono essere legate solo all’anzianità, bisogna saper premiare chi creare valore pubblico. Per questo motivo vogliamo passare a un sistema che riconosce il merito e le capacità reali. Non basta più solo il tempo che si passa in ufficio: è importante quello che si fa e come lo si fa. Il nuovo sistema mira a valorizzare il saper fare, riconoscendo i dipendenti che portano risultati concreti e che contribuiscono attivamente a migliorare i servizi della Pa. L’obiettivo è quello di passare dal modello vigente, un “fai da te” in cui per fare carriera un dipendente pubblico deve studiare e vincere un concorso, che di fatto deresponsabilizza la classe dirigente, a un sistema per “obiettivi” dove si viene valutati e premiati sulla base dei risultati raggiunti. Questo nuovo approccio alle performance coinvolge appunto i dirigenti, chiamati a svolgere un ruolo chiave nella gestione delle risorse umane: devono fissare obiettivi chiari, misurare i risultati e valorizzare chi merita. Premiare chi merita davvero vuol dire rendere la Pa più attrattiva per i giovani talenti, che vogliono vedere il loro impegno riconosciuto».

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