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Contrattazione collettiva per 9 aziende su 10

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Sale la quota di adesione al Ccnl negli ultimi 4 anni. Ma la contrattazione di secondo livello è rimasta pressoché invariata: solo una ristretta minoranza delle imprese dichiara di applicarla. Questi i dati dell’Inapp. Le aziende con almeno un dipendente che hanno utilizzato la contrattazione collettiva nazionale negli ultimi anni sono aumentate, passando dal 75% all’87%. Questa crescita, tuttavia, cela notevoli eterogeneità in relazione al settore e alla dimensione dell’azienda. Se infatti il 98% delle imprese con più di 250 lavoratori aderisce al Ccnl, la percentuale scende all’84% per quelle aziende con meno di 10 dipendenti. Un’ulteriore variazione dipende dalla localizzazione geografica delle imprese: nel Nord l’uso della contrattazione collettiva nazionale è applicato dall’88% delle società, nel Sud della penisola dall’86%.

La contrattazione di secondo livello

Minore è il successo della contrattazione di secondo livello. Nel 2018 questa era stata applicata dal 3,5% delle imprese, mentre i dati relativi al 2022 rivelano un incremento dello 0,5% rispetto al risultato precedente. Questo aumento, seppur lieve, è probabilmente dovuto alle politiche di promozione del decentramento della contrattazione collettiva, che incentivano la diffusione autonoma del secondo livello. Sull’ importanza della presenza dei sindacati si è soffermato il presidente dell’Inapp Sebastiano Fadda, che ha notato come “grandi dimensioni d’impresa e sindacalizzazione della forza lavoro sono determinanti positive della copertura della contrattazione collettiva sia di primo che di secondo livello”, aggiungendo che “la probabilità di applicare un contratto di secondo livello aumenta tra il 10 e il 14% se in impresa vi è una rappresentanza sindacale”. Fadda ha anche discusso di un possibile ostacolo per i sindacati, ovvero la mancata copertura di una fascia di lavoratori. Per il presidente Inapp c’è una “realtà parallela che sfugge alla rappresentanza sindacale a causa della polverizzazione delle attività lavorative, basti ricordare i tanti lavoratori atipici, a tempo, impegnati nella gig economy, che compongono di fatto quel grande filone di working poor e che non hanno rappresentanza”.

Salario minimo

Sulla possibilità di introdurre in Italia il salario minimo, ha concluso Fadda, “il timore di alcuni è che una volta stabilito un minimo per legge le imprese si limitino a pagare quel minimo, abbandonando il contratto collettivo, oppure che se stabilito a un livello troppo elevato possa rendere inutili i contratti collettivi. Eppure, un salario minimo per legge non sarebbe un salario sostituivo dei salari definiti dalla contrattazione collettiva, ma semplicemente una soglia minima invalicabile al di sotto della quale le retribuzioni non possono scendere, ci sia o non ci sia contrattazione collettiva”.

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