Si dice soddisfatto per aver invertito il trend e aver fatto ripartire le assunzioni nella Pubblica amministrazione, con un obiettivo che parla di 170mila nuovi ingressi quest’anno e il traguardo già raggiunto di più di 100mila assunzioni nel primo semestre del 2023. A parlare, in una chiacchierata con PaMagazine è il ministro della Funzione pubblica, Paolo Zangrillo che, a proposito del rinnovo dei contratti statali, annuncia: ci stiamo lavorando, anche in vista della NaDef di settembre che definirà il perimetro del rinnovi 2022-2024. “Ci muoveremo – specifica – tenendo i piedi saldi a terra e con attenzione sia alla stabilità dei conti pubblici che al benessere delle nostre persone” ma ricorda l’obiettivo del Governo “a reperire le risorse per avviare i rinnovi” e, lo ribadisce: “Il mio impegno è questo”.
Come procedono le assunzioni nella Pa? È soddisfatto?
Sono soddisfatto perché abbiamo invertito il trend a cui abbiamo assistito con il blocco del turn over, un decennio durante il quale abbiamo perso 300 mila unità di personale e l’età media dei dipendenti è salita fino a quasi 50 anni. Dobbiamo sfatare il falso mito secondo il quale in Italia ci sarebbero troppi dipendenti pubblici: dal confronto europeo, i lavoratori della PA italiana in rapporto alla popolazione residente non sono numerosi. Al contrario, abbiamo bisogno di dare ossigeno alle nostre amministrazioni mettendole nelle condizioni di avere il personale di cui necessitano. A questo scopo stiamo intensificando gli sforzi che già sono stati fatti nel 2022, e per quest’anno prevediamo l’ingresso di altre 170 mila persone. Sono fiducioso perché gli ultimi numeri danno evidenza dei risultati che già stiamo raggiungendo: più di 100 mila ingressi sono stati realizzati solo nel primo semestre dell’anno. Siamo inoltre intervenuti con il cosiddetto decreto PA, che, con respiro molto ampio, ha dato nuova linfa per il rafforzamento della capacità amministrativa in termini di capitale umano: oltre il turn over, 3.600 nuove risorse, in particolar modo a supporto dei piccoli Comuni e, con oltre 2 mila unità, del comparto sicurezza, su cui i cittadini ci chiedono giustamente attenzione. Nel provvedimento ci sono anche disposizioni che razionalizzano la gestione dei concorsi. C’è molto da fare infatti per recuperare la desertificazione alle nostre spalle e, proprio per questo, il miglioramento dei percorsi di reclutamento è un’azione strategica alla quale non ci siamo sottratti. Siamo intervenuti poi, più recentemente, con il decreto-legge cosiddetto PA bis, che prosegue nel solco della rigenerazione della Pubblica Amministrazione già tracciato dal precedente dl.
Lei ha velocizzato l’iter dei concorsi. Perché è una mossa strategica?
Siamo lavorando con impegno per rendere la nostra Pubblica Amministrazione un’organizzazione che, nella sua complessità e nella centralità che riveste per il Sistema Paese, sia al passo coi tempi e all’altezza delle aspettative delle giovani generazioni. Velocizzare i concorsi non significa soltanto rispondere in termini efficaci e tempestivi ai fabbisogni di organico delle PA, e quindi incidere positivamente sulla qualità delle funzioni che le nostre organizzazioni sono chiamate a presidiare e su quella dei servizi che devono essere erogati. Significa aumentare anche l’attrattività della PA per ingaggiare giovani capaci, motivati e competenti, in un mercato del lavoro sempre più competitivo, in cui è mutato il paradigma: non sono più le organizzazioni a scegliere i migliori, ma sono i talenti a cercare la posizione professionale più congeniale al loro desiderio di realizzazione. In questo contesto, non è accettabile che tra la pubblicazione di un bando e la conoscenza dell’esito di un concorso passino anni. Questo è il miglior modo per perdere l’occasione di far salire a bordo le persone di cui abbiamo bisogno. C’è invece una necessità di certezza che va assecondata. A inizio giugno quindi, in Consiglio dei ministri, abbiamo approvato il dpR con la nuova disciplina che introduce importanti novità sulla selezione del personale. Il dpR si somma alle norme del dl PA e ad altri interventi, e innova le procedure concorsuali. Soprattutto viene imposto un tempo massimo di sei mesi per aprirle e chiuderle: uno strumento di garanzia per chi vuole entrare nel mondo del lavoro pubblico, e per la programmazione delle stesse organizzazioni. I concorsi sono svolti in modalità digitale, attraverso il portale inPA, proprio per ridurre le tempistiche. Una rivoluzione se pensiamo alle modalità di reclutamento di appena qualche anno fa.
Mancano le risorse per il rinnovo dei contratti pubblici ma il Governo si è impegnato a trovarle nelle pieghe di bilancio. Rimane fiducioso? E di che cifre parliamo?
Quello dei rinnovi contrattuali è stato il tema che per primo mi ha visto impegnato, sin dal mio insediamento a Palazzo Vidoni, e di cui ho ribadito fin da subito la necessaria centralità. Il percorso è cominciato lo scorso autunno con la firma sui contratti di 2,2 milioni di dipendenti di enti locali, comparti sanità e, per la parte economica, scuola, ed è proseguito più di recente con gli accordi relativi a Istruzione e Ricerca, alla Ricerca sanitaria, e con l’avvio della trattativa sulla dirigenza Funzioni locali. Abbiamo spinto per recuperare il ritardo accumulato sulla tornata 2019-21. Adesso il mio impegno è chiaramente quello di verificare le risorse per avviare il percorso per i rinnovi del triennio successivo. Abbiamo davanti altra strada da percorrere, a cui dobbiamo guardare con fiducia. E in questo senso ci danno conforto, ad esempio, le recenti stime a rialzo del Fondo Monetario Internazionale sul Pil dell’Italia, secondo cui il nostro Paese nel 2023 crescerà più di Francia e Germania e più della media dell’eurozona: una conferma dell’efficacia della politica economica del Governo che ci sprona a fare ancora meglio e che costituisce la base per la prossima Legge di Bilancio, alla quale stiamo già lavorando. Per le parti di mia competenza, si sono svolte nelle scorse settimane interlocuzioni con il Mef, in vista dell’appuntamento con la Nadef a settembre. Quello sarà il momento in cui più puntualmente potremo cominciare a definire la strategia per la tornata 2022-24 dei rinnovi contrattuali valutandone il perimetro finanziario. La mia attenzione e quella del Governo sul tema retributivo sono massime. Va però ricordato che sono state necessarie ben quattro leggi di bilancio per chiudere l’ultima tornata. Ci muoveremo quindi tenendo i piedi saldi a terra e con attenzione sia alla stabilità dei conti pubblici che al benessere delle nostre persone.
Se non si riuscirà a trovare le risorse per il rinnovo dei contratti ci sarà un nuovo emolumento una tantum per il 2024 come suggerito dalla Corte dei Conti ad aprile?
Il perimetro di manovra del bilancio 2023 è stato stretto in questo ambito per la necessità, soprattutto, di dare risposte concrete e immediate alle famiglie e alle imprese in difficoltà a causa della crisi energetica. L’emolumento una tantum, che viene erogato proprio questo mese anche retrospettivamente, ha rappresentato una prima risposta per attenuare, pur parzialmente, l’aumento dell’inflazione. Un segnale di attenzione nei confronti delle nostre persone, a cui si aggiunge l’intervento sul cuneo fiscale. L’ultimo Def ha comunque ribadito l’impegno del Governo a reperire le risorse per avviare i rinnovi e, lo ribadisco, il mio impegno è questo.
Nel Pniec si parla di smart working e settimana corta come norme per contrastare le emissioni. Sono soluzioni applicabili anche alla Pa?
Ho ripetuto spesso in questi mesi che lo smart working è uno strumento che, se ben utilizzato, può esprimere le sue potenzialità per l’organizzazione del lavoro pubblico così come per quello nel mondo delle imprese. Rifiuto, infatti, l’idea che la Pubblica Amministrazione sia un’organizzazione incapace di cogliere le opportunità che funzionano nel privato, o che sia incapace di sfruttare appieno i processi di riorganizzazione dettati dall’innovazione tecnologica: un ambito nel quale, invece, stiamo producendo evidenti risultati. Il punto è che il lavoro agile va gestito nella PA in coerenza con la natura della nostra organizzazione, in modo cioè che non vengano pregiudicati i servizi erogati ai nostri utenti, che sono i cittadini e le imprese. Se ci si muove entro questo sentiero, si possono cogliere tutti i possibili vantaggi dello smart working che, oltre ai temi citati, riguardano quelli del benessere organizzativo e la conciliazione dei tempi di vita e lavoro. Vorrei solo evidenziare che non ci sono più i presupposti dell’emergenza Covid. Lo smart working in deroga è però anche uno strumento con cui abbiamo dato una risposta ai dipendenti pubblici delle zone colpite dall’alluvione dell’Emilia-Romagna, ad esempio. Il ricorso al lavoro agile, dunque, ha una sua adattabilità alla luce della situazione concreta che si viene a creare, evidentemente anche per i casi legati alle emergenze climatiche. Da questo punto di vista, mi pare che gli strumenti in cui eventualmente definire nuove modalità organizzative, nel confronto con le parti sociali, siano la regolamentazione ordinaria e i contratti, anche nell’ottica della transizione ecologica. Una sfida a cui ci chiamano gli impegni del Pnrr e su cui abbiamo rafforzato recentemente l’impegno in formazione per i dipendenti del settore pubblico.