Cherry picking. E’ una espressione della lingua inglese, significa scegliere da una ciotola piena di ciliegie per se stessi soltanto quelle migliori, scartando quelle troppo mature o acerbe. Questo modo di dire, ormai, è molto diffuso. In finanza, per esempio, si usa quando un operatore cerca in una determinata Borsa solo i titoli migliori. Ma Cherry picking ha anche un altro significato, negativo. E’ una ipocrisia logica per cui un individuo mostra solo le prove che rafforzano una sua tesi, nascondendo tutte quelle che invece la confutano.
Qualche giorno fa, quando il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, ha presentato insieme al ministro del Sud, Mara Carfagna, il concorso per assumere a tempo determinato 2,800 giovani nel Mezzogiorno per accelerare l’utilizzo dei Fondi europei di coesione, ha parlato proprio di cherry picking. Ogni amministrazione, insomma, dovrebbe poter scegliere nel cestino dei concorrenti di un concorso pubblico soltanto quelli migliori. Non c’è ovviamente nessun dubbio che i vincitori di un concorso pubblico debbano essere i migliori che a quel determinato bando hanno partecipato. Ma come si fa a garantire che poi effettivamente lo siano?
Prendiamo proprio i requisiti del bando a 2.800 posti per i ragazzi del Mezzogiorno. In questo bando la semplice laurea vale poco o niente. Per un ragazzo essere appena uscito dall’Università ed essersi laureato con 110 e lode rende 0,1 punti sul massimo di 10 che sono attribuiti alle esperienze professionali o alla formazione post universitaria. Un master di primo livello vale 0,5 punti. Uno di secondo livello vale 1 punto. Avere una specializzazione post laurea vale 1,5 punti. Così come un dottorato di ricerca.
Se poi si ha esperienza professionale si entra in una vera e propria “corsia di sorpasso”. Per ogni anno un cui si è svolta come dipendente o come consulente l’attività oggetto della selezione, si ottiene un punto fino a un massimo di 6. Insomma, con sei anni di esperienza la strada è completamente spianata. La filosofia del cherry picking dietro il bando, premia chi ha avuto la possibilità di frequentare costosi master, accedere ai dottorati, o ha già lavorato come consulente magari di quelle stesse amministrazioni che ora sono chiamate ad assumere. Il giovanissimo brillante laureato che volesse cimentarsi nel concorso pubblico per trovare una immediata possibilità di lavoro, avrebbe poche chance.
Ma c’è anche un altro punto. Non secondario. Questa selezione che dà una corsia preferenziale a chi è superqualificato ed esperto, inquadra questi stessi “professionisti” in un’area, la terza, in posizione F1. Insomma, 1.700 euro lordi al mese, che netti fanno sì e no 1.300. Insomma, non proprio compensi da “manager qualificati”, più forse adatti a quei brillanti neo laureati che invece il concorso rischia di tagliare fuori.
Va bene, si potrebbe dire, ma quello per l’assunzione dei 2.800 tecnici per spendere i fondi della coesione nel Mezzogiorno è un caso particolare. Sono contratti a termine, durano tre anni. E se si vogliono spendere bene e in fretta i soldi bisogna prendere chi quel lavoro già lo conosce e sa come muoversi tra bandi europei e progettazione. Questo è vero.
Ma la filosofia del cherry picking, della valutazione dell’esperienza, pervade l’intera riforma dei concorsi appena presentata dal ministro Brunetta. Ci saranno sostanzialmente tre tipi di concorsi: quelli già banditi e le cui prove si svolgeranno durante l’emergenza sanitaria; quelli che saranno banditi sempre durante l’emergenza; e i concorsi a regime. La costante della riforma è che è sempre previsto che “i titoli e l’eventuale esperienza professionale possono concorrere al punteggio finale”. Dunque, se fino ad oggi i titoli valevano solo per l’accesso al concorso, poi una volta ammessi tutti i concorrenti partivano dalla stessa linea al via, nei prossimi concorsi chi ha un determinato titolo o una esperienza, partirà diversi metri avanti rispetto agli altri. O detto in un altro modo, l’ascensore sociale non parte più dal piano terra ma dal primo.
Post scriptum. Delle possibili distorsioni di questo meccanismo esiste un recente caso eclatante: quello del concorso per i direttori della Giustizia. Il peso preponderante dato all’esperienza professionale ha spinto la partecipazione di moltissmi 50 enni, tanti 60 enni e qualche 70 enne al bando. Non proprio un ringiovanimento della Pa. Qui l’approfondimento sul concorso della giutizia.