Da isola felice a purgatorio. È questa la fine che rischia di fare lo smart working nella Pa. A ottobre si cambia musica: il ministero della Funzione pubblica ha optato per una stretta allo scopo di mettere ulteriore benzina nel serbatoio della crescita economica, ma per 1,5 milioni di statali smartabili chiamati al rientro in massa negli uffici ciò avrà un costo. Per prima cosa sarà molto più complesso per i dipendenti pubblici accedere allo smart working e ai benefici che offre in termini di equilibrio tra vita professionale e vita lavorativa. Ma chi conquisterà il diritto al lavoro agile in futuro dovrà comunque rispettare orari più rigidi e, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, potrà essere richiamato in ufficio già al primo passo falso. Insomma, si lavora a una sorta di “gabbia” per i dipendenti pubblici che opereranno da remoto, affinché lo smart working non si traduca in cali di produttività.
Le tappe del cambiamento
Sarà una rivoluzione in due tappe. Primo step: dal 15 ottobre, con l’entrata in vigore dell’obbligo di green pass per tutti i lavoratori, il lavoro in presenza tornerà a essere a tutti gli effetti nel pubblico la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa. Il ritorno in ufficio degli statali sarà graduale (i primi a rientrare saranno quelli che lavorano a diretto contatto con il pubblico e poi toccherà a chi è impiegato nelle retrovie) ma ciò non significa che non viaggerà spedito. Resterà valida la regola secondo cui almeno il 15% degli smartabili va lasciato a casa. Una soglia di sicurezza che però potrebbe sparire già dal secondo step, ossia dal prossimo anno, quando a dettare legge saranno le nuove regole sul lavoro agile oggetto della trattativa tra Aran e sindacati per il rinnovo del contratto dei dipendenti delle funzioni centrali. Nell’ambito di questa nuova cornice verranno definite le categorie di lavoratori che hanno diritto in via preferenziale allo smart working e specificate quelle che invece non potranno più accedervi nemmeno in minima parte. Per esempio, i lavori in turno e quelli che richiedono l’uso permanente di strumentazioni non remotizzabili verranno tagliati fuori.
Sempre connessi
Il diritto alla disconnessione è uno dei principali nodi della trattativa in corso tra Aran e sindacati. Al momento l’idea è di fissare tre fasce orarie per il lavoro da remoto. Quella cosiddetta dell’operatività, seguita dalla fascia della contattabilità e infine da quella dell’inoperabilità. Ogni fascia oraria prevede obblighi diversi: nella prima il dipendente è considerato operativo al 100 per cento, nella seconda deve essere costantemente raggiungibile (deve rispondere a mail e telefonate) mentre nella fascia dell’inoperabilità ha il diritto alla totale disconnessione. Fari puntati sulla seconda fascia oraria, quella della contattabilità, perché secondo i sindacati rischia di dilatare l’orario di impegno oltre i limiti previsti per il lavoro in presenza, escludendo solo le 11 ore di riposo giornaliero obbligatorio. Altra novità. Le sedi esterne in cui verranno rese le prestazioni lavorative da parte degli statali in smart working dovranno essere autorizzate dalla loro amministrazione di appartenenza, anche per garantire la sicurezza dei dati.
Le regole attuali
Lo smart working semplificato, che non necessita di un accordo tra datore di lavoro e lavoratore, è consentito fino alla fine dello stato di emergenza, che scade il 31 dicembre. Per altri tre mesi, dunque, ogni amministrazione decide in autonomia quanti dipendenti possono lavorare da remoto (e per quanti giorni). Le norme in vigore prevedono poi che le amministrazioni con più di 50 dipendenti fissino entro il 31 gennaio del prossimo anno gli obiettivi della performance e, nell’ambito della strategia di gestione del capitale umano, la quota di lavoro agile consentita. Dal prossimo anno l’accesso facilitato allo smart working dovrebbe essere limitato solo ad alcune categorie di lavoratori, tra cui genitori con figli minori di 3 anni o disabili e dipendenti con disabilità o che assistono persone con disabilità.