Qualcuno le ha già definite le “grandi dimissioni”. Ma a differenza del fenomeno nato in America e che per un periodo di tempo si è diffuso nel resto dei continenti, quello a cui si sta assistendo non riguarda la scelta di mollare il lavoro per dedicarsi a se stessi. Le nuove grandi dimissioni italiane riguardano un comparto particolare, e delicato, della pubblica amministrazione: la Giustizia. I tribunali e le Corti di appello si stanno svuotando di dipendenti, soprattutto nel Nord del Paese. E questa volta a mollare non sono soltanto i precari dell’Ufficio del Processo. Ad andarsene sono cancellieri, assistenti giudiziari e altre figure essenziali al funzionamento della macchina giudiziaria. Un problema urgente, ed enorme, non solo per l’amministrazione della giustizia, ma per lo stesso governo. Una parte cospicua dei fondi del Pnrr, il piano di ripresa e resilienza, sono legati alla scommessa che i tribunali riusciranno ad azzerare tutto, o quasi, il loro arretrato e a tagliare i tempi della giustizia. Buona fortuna.
Per capire capire quello che sta succedendo, basta leggere le relazioni presentate nelle varie Corti di appello per l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Una mole di informazioni, ma per cogliere il succo basta fare un carotaggio. Prendiamo Torino. Una parte della relazione è stata redatta dal dirigente amministrativo, la dottoressa De Meo. Che non ci gira attorno. “La più rilevante criticità riguarda”, scrive, sempre l’organico del personale amministrativo. Nel corso del 2022 vi era stata l’assunzione di nuovo personale a seguito di concorsi e, nonostante ciò, questa Corte denunciava una scopertura del 19,77% totale. Nel corso del 2023 l’Ufficio ha subito rilevanti perdite di personale a causa non solo dei
pensionamenti, ma, soprattutto, per le dimissioni di molti dipendenti vincitori di concorso presso altri
enti“. Proprio così, i dipendenti a tempo indeterminato hanno iniziato a partecipare, e a vincere, altri concorsi. Così la scopertura è raddoppiata in un anno, passando dal 19 a oltre il 28 per cento. Un trend insostenibile.
Ufficio del processo, sì alla proroga dei contratti fino al 2026
“L’età media dei nostri cancellieri funzionari e assistenti è di 55 anni e anche i giovani – dopo essere stati assunti a tempo indeterminato – hanno optato per un impiego in altre amministrazioni pubbliche o parastatali ove godono di migliori retribuzioni. Occorre che siano il Ministero e il governo a farsi carico di questa situazione incresciosa che configura quasi una concorrenza sleale tra le amministrazioni a discapito dell’efficienza dello Stato“, gli ha fatto eco il presidente della Corte di Appello di Torino Edoardo Barelli Innocenti. Adesso a spaventare è l’immissione in ruolo dei 4.500 dipendenti del concorso dell’Agenzia delle Entrate. “La recente pubblicazione del bando di concorso dell’Agenzia delle Entrate per 4.500 posti, nonché il bando di mobilità interno del Ministero della Giustizia“, scrive ancora De Meo, “preannunciano la possibilità concreta di ulteriori prossime riduzioni del personale in servizio”.
Spostandosi da Torino a Milano, le cose non cambiano molto. Il presidente Giuseppe Ondei ha parlato senza mezzi termini di una “drammatica scopertura” del personale amministrativo, e ha ricordato il “continuo stillicidio di abbandoni” degli addetti all’Ufficio del processo, che mette a rischio il raggiungimento degli obiettivi del Pnrr. “E’ assolutamente necessario attivare un piano di assunzioni”, ha detto, “che faccia arrivare nei nostri uffici assistenti, cancellieri e dipendenti amministrativi”. L’Ufficio del processo poi, rischia di diventare un’occasione perduta. Un po’ perché qualche magistrato ha interpretato il ruolo come quello di un assistente personale a sua disposizione. Ma soprattutto perché è ormai chiaro a tutti che costruire questa struttura sul precariato ha equivalso a gettare le fondamenta di questo progetto sulla sabbia. A Milano a giugno dell’anno scorso erano previsti 698 addetti dell’Ufficio del processo. In organico ve ne erano effettivamente solo 470. Dato in discesa mese dopo mese.
«L’ufficio del processo? Soldi buttati»
Scendiamo verso Sud, e fermiamoci a Roma. “E’ paradossale osservare”, ha detto il presidente della Corte di Appello Giuseppe Meliadò, “ad un anno di distanza, come nel momento stesso in cui cresce la fiducia dei magistrati” verso l’Ufficio del Processo, “diminuisce la possibilità per gli uffici di avvalersene, per la inesorabile e continua fuga dei nuovi funzionari assunti a termine, da uno stato di precarietà che li spinge a ricercare più stabili occasioni di lavoro”. C’è poco da aggiungere. Se non che era del tutto evidente quanto fosse velleitario in un momento storico di ripresa delle assunzioni pubbliche trattenere persone capaci con un contratto precario. Ma dice ancora Meliadò, quello che preoccupa maggiormente è che “non si stanno svuotando solo i ruoli dei nuovi funzionari, ma anche quelli del personale amministrativo di ruolo”. E’ il mercato bellezza, si potrebbe dire. L’offerta di posti pubblici è più rapida della domanda. I dipendenti possono fare quello che gli inglesi chiamano il “cherry picking”, possono scegliere le amministrazioni che pagano meglio. Un problema. E non solo per la Giustizia. Chi mai vorrà andare più a lavorare in un carcere dove il lavoro è duro e la paga bassa. O scegliere un Comune dove gli stipendi sono risicati se c’è un’Agenzia delle Entrate o un Inps che pagano molto meglio. Forse l’ora di rimettere ordine nelle retribuzioni è giunta.
Confermo tutto e io che lavoro in carcere, aspetto la pensione per scappare subito. Non ha più senso fare doppie o tripple mansioni perchè manca personale e si sbaglia quella principale per distrazioni. Inoltre con gli stipendi più bassi dell’INPS che prendono oltre 2,200 + benefit i nuovi assunti, mentre nella Giustizia si prende quasi la metà nonostante 35 anni di contributi!