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Giuseppe Cotruvo: «Il flop dei concorsi? Colpa dei quiz»

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«Le migliori eccellenze italiane non hanno difficoltà a trovare spazio nel settore privato, o all’estero, con condizioni contrattuali che, ad oggi, risultano nettamente migliori rispetto alle remunerazioni offerte dalla P.a. Bisognerebbe intervenire su questo aspetto». Parola di Giuseppe Cotruvo, uno dei massimi esperti in Italia di concorsi pubblici e formazione, fondatore del “Metodo Cotruvo”, che in una chiacchierata con PaMagazine interviene anche sul problema di quei concorsi pubblici recenti in cui diversi posti sono rimasti vacanti: «Per evitare che ciò accada – sostiene – la politica dovrebbe lavorare per dare tempi certi e regole certe ai concorsi» ed evitare «si ceda alla tentazione di voler rendere sistemica» la chiamata diretta, introdotta alla fine dopo i due flop dei Concorsoni sud. 

Quando la partorì, Brunetta sostenne che la sua riforma della P.a. e del reclutamento avrebbe favorito l’ingresso nella Pubblica amministrazione di giovani qualificati. A un anno di distanza possiamo dire che è stato così? 

«A mio modesto avviso, e lo dico sia sulla base delle esperienze maturate negli ultimi anni, sia considerando quanto accade in sistemi selettivi ritenuti “più maturi” (ad esempio le esperienze EPSO), quando si semplificano le procedure di accesso, non si premia la qualità. Ricordo quando qualcuno derideva il sistema delle “crocette” per selezionare i profili migliori da inserire nei ruoli della P.a.: ebbene con il dl 1° aprile 2021, n. 44, molti concorsi si sono trasformati in prove uniche “a crocette”. E le prove uniche a quiz non mi sembra abbiano invogliato i candidati ad intensificare lo studio, piuttosto è accaduto il contrario. Determinante è stato anche il clima di incertezza, che ha indotto molti candidati ad attendere prima di programmare lo studio. Comunque sia, la situazione è transitoria. Quando il sistema andrà a regime (verosimilmente nel 2023), la totalità dei concorsi dovrebbe essere declinata con la preselezione (basata sulla valutazione dei titoli o su prove a quiz), una prova scritta (a quiz o con domande a risposta aperta) e l’orale. Attenderei il 2023 per un bilancio sull’assetto del sistema di reclutamento della P.a., per capire quanto impattanti saranno le poche e concrete novità, come la valutazione delle soft skill». 

A maggio 2021 discutevamo se le nuove regole per i concorsi avrebbero avvantaggiato le migliori eccellenze italiane o rischiare di fare discriminazioni. Che dati abbiamo?

«A maggio 2021 si discuteva dell’opportunità di dare troppo peso ai titoli. Ci sono state esperienze, come il concorso Coesione sud, in cui candidati molto titolati non sono risultati idonei. Perché? Bisognerebbe capire se le prove somministrate siano risultate eccessivamente complesse, o se i titoli rappresentino una fotografia attendibile della preparazione dei candidati. Per evitare di impantanarsi in discussioni sul valore dei titoli, su quali valgano di più, su quali sia più opportuno valutare, sul discriminare alcuni candidati, in favore di altri (come accaduto in concorsi come quello per cancellieri esperti), etc., ritengo che si debba consentire a tutti coloro che hanno il titolo minimo di accesso di partecipare ai concorsi. I migliori, se sono realmente delle eccellenze, riusciranno a dimostrare quanto valgono, senza titoli e, a maggior ragione, se sono ampiamente titolati. Precisato ciò, le migliori eccellenze italiane non hanno difficoltà a trovare spazio nel settore privato, o all’estero, con condizioni contrattuali che, ad oggi, risultano nettamente migliori rispetto alle remunerazioni offerte dalla P.a. Bisognerebbe intervenire su questo aspetto per calamitare l’attenzione dei “migliori” e pare che il Ministro si stia impegnando in tal senso». 

Facciamo degli esempi concreti. Dopo le polemiche iniziali, è stato bandito il concorso per reclutare 8.171 addetti all’ufficio del processo, ovvero metà del contingente previsto dal Governo. A concorso concluso diversi posti sono rimasti vacanti. E l’avvio dello scorrimento delle graduatorie da un distretto all’altro è anche bloccato. Cosa non ha funzionato secondo lei? 

«Semplicemente, la concomitanza di tante procedure concorsuali ha permesso a molti candidati di partecipare a più concorsi: molti sono risultati vincitori in vari ambiti e si sono trovati nelle condizioni di poter scegliere. Tra un posto a tempo determinato (come gli addetti all’ufficio del processo) ed uno a tempo indeterminato, la maggior parte ha scelto il posto a tempo indeterminato. Per evitare che posti restino vacanti, la politica dovrebbe lavorare per dare tempi certi (comunicandoli con ampio anticipo) e regole certe nello svolgimento dei concorsi. In questo modo i candidati riuscirebbero a programmare in modo ottimale lo studio». 

Altro concorso, altro problema. Sono già due i concorsi Sud che il Governo bandisce per reclutare esperti per il Pnrr nelle regioni del Meridione, e tutti e due sono stati dei flop, con meno vincitori dei posti banditi. Cosa si dovrebbe fare? Basta, come ha fatto il Governo, prevedere chiamate dirette e stipendi più alti? 

«In Svezia forse basterebbe. In Italia dubito funzioni, senza evocare dubbi di moralità, di favoritismi, etc.. Il meccanismo dei concorsi è stato introdotto per conferire trasparenza alle selezioni, slegandole dal clientelismo politico: negli ultimi anni migliaia di candidati hanno dimostrato sul campo di meritare di lavorare nel pubblico. La “chiamata diretta” serve per tamponare situazioni d’emergenza, ma mi auguro che nessuno ceda alla tentazione di volerla rendere sistemica perché, secondo me, non ci sono le condizioni per poterlo fare». 

Fino al 31 dicembre 2026, le amministrazioni coinvolte da progetti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, quindi ministeri, Regioni, Comuni, Province e città metropolitane, potranno conferire incarichi di consulenza retribuiti (per non più di tre anni) a lavoratori che siano andati in pensione. Cosa pensa di questa scelta? 

«In situazioni d’emergenza va bene farlo, come accaduto nei mesi scorsi con medici e infermieri in pensione a cui è stata data la possibilità, o a cui è stato chiesto, di fornire il loro contributo per tamponare l’emergenza sanitaria. Se dovesse risultare necessario richiamare dipendenti in pensione per favorire l’iter dei progetti in cantiere, ritengo sia opportuno farlo per il bene della collettività».

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