Dice l’Ecclesiaste: “Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, … un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, … un tempo per strappare e un tempo per cucire, … un tempo per la guerra e un tempo per la pace”. Antica saggezza biblica che sarà bene tenere presente nei prossimi giorni, quando tutti noi sindacalisti, confederali e autonomi, ci siederemo al tavolo dell’Aran per discutere il rinnovo del contratto nazionale dei dipendenti pubblici. Sì, perché la scelta del tempo questa volta sarà cruciale, gli argomenti sui cui confrontarsi sono tantissimi e tutti di grande rilevanza, ma ce n’è uno, fondamentale, sul quale il punto di caduta è chiaro a tutti, perché sta scritto nella manovra di bilancio. Sto parlando del valore economico complessivo del prossimo rinnovo: è in ballo un aumento salariale di 154 euro lordi al mese. È la cifra più alta mai messa sul tavolo nell’ultimo ventennio.
I precedenti
Per i lavoratori si tratta di un risultato importante e per nulla scontato. Per capire l’eccezionalità del fatto, basterebbe ripercorrere la storia degli ultimi rinnovi contrattuali. Il Ccnl 2008-2009 portò a un aumento medio del 3,2%, ossia di 78 euro lordi al mese. Cifra che per circa 10 anni è rimasta congelata, perché, come sa ogni lavoratore pubblico, per avere un nuovo contratto del Pubblico impiego si è dovuto attendere il febbraio del 2018, quando si ottenne un aumento del 3,48%, cioè di 85 euro e solo grazie alla sentenza della Consulta, che rispose positivamente ai ricorsi presentati da noi di CONFSAL-Unsa, dichiarando incostituzionale il blocco della contrattazione deciso a suo tempo dal governo di Mario Monti. Il contratto successivo, che riguardava il triennio 2019-2021, è stato sbloccato solo a maggio 2022, ben dopo la sua scadenza e ha portato nelle tasche dei lavoratori pubblici un aumento medio di 105 euro lordi al mese, cioè il 4,07% in più.
Le cifre
Ora, come già detto, sul tavolo c’è una cifra complessiva già finanziata che si concretizzerebbe in un aumento di 154 euro mensili, con un incremento salariale del 5,78%. L’obiettivo prioritario, a questo punto, dovrebbe essere chiudere quanto prima un accordo sulla parte economica, facendo in modo che gli aumenti possano scattare, per l’intera cifra, entro la fine di quest’anno. Ci sono ben due ragioni fondamentali per mirare a questo risultato. La prima è rispettare la scadenza del contratto vigente, mettendo fine alla prassi consolidata da troppi, troppi anni, di procedere in regime di prorogatio. La seconda ragione è che i soldi ora ci sono, perché già finanziati con l’ultima legge di bilancio e se si chiude l’intesa ci saranno anche domani, perché l’aumento passerà a regime e dovrà essere per forza rifinanziato. In assenza di accordo firmato, invece, tutto si potrebbe complicare.
Le regole Ue
La prossima legge di bilancio, infatti, dovrà tenere conto del nuovo Patto di Stabilità Europeo che avrà come indicatore principale di riferimento per la congruità degli equilibri di bilancio la spesa primaria netta, cioè la spesa pubblica nominale al netto della spesa per interessi, della spesa ciclica per la disoccupazione, delle misure discrezionali sulle entrate e della spesa relativa ai programmi dell’Unione. Uscendo dalla terminologia accademica, questo significa, in parole povere, che il nuovo indicatore di riferimento sui cui i tecnici di Eurostat daranno la pagella ai conti pubblici italiani sarà composto soprattutto dalla somma degli stipendi pubblici. Sarà questa la linea del Piave su cui si combatterà in Europa. Pensare che rifinanziare da zero una posta che comporterebbe lo spostamento in avanti di quella linea possa essere un semplice atto dovuto, vuol dire illudere in primo luogo sé stessi, e quel che è peggio, i lavoratori.
Fare presto
Voglio essere ancora più chiaro, a costo di essere brutale: oggi i soldi per l’aumento contrattuale ci sono. E in cifra assoluta e in percentuale, sono molto di più di quelli ottenuti con i precedenti rinnovi contrattuali. Ottenere dal governo quello stanziamento non è stato né semplice, né scontato. Far rientrare queste cifre in un complesso negoziato politico con le istituzioni europee, che hanno peraltro già aperto nei confronti dell’Italia una procedura d’infrazione per deficit eccessivo, sarebbe autolesionismo puro. Mettiamo in sicurezza gli aumenti. Chiudiamo subito la parte economica del contratto e facciamola diventare operativa, poi prendiamoci tutto il tempo necessario per affrontare le altre questioni, a cominciare da quelle normative. Per tornare all’Ecclesiaste (o se si vuole usare il nome ebraico, al Qoelet), lui diceva che c’è anche: un tempo per seminare e un tempo per raccogliere. Questo è quello di raccogliere e lo si faccia subito, prima che si rischi di finire fuori tempo massimo.
Bene, bravi ma devo dire noi Pensionati nel 2013 non abbiamo avuto niente! Scandaloso un contratto bloccato per anni!!!