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Concorsi, stop del Consiglio di Stato alla riforma

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E adesso la palla passa a Palazzo Vidoni e al ministro della Funzione pubblica, Paolo Zangrillo, che con numeri e dati dovrà dimostrare l’efficacia della riforma dei concorsi pubblici e del processo di digitalizzazione delle prove selettive, avviati dal suo predecessore Renato Brunetta, e confermati dal governo Meloni. Già perché secondo il Consiglio di Stato quella che doveva essere la soluzione alla lentezza delle prove concorsuali – che stando agli ultimi dati del Formez nel 2019 si dilungavano per 786 giorni in media mentre nel 2022 si sono chiusi in 126 giorni – rischia in realtà di diventare un nuovo fattore di disturbo e un moltiplicatore dei contenziosi da parte dei candidati esclusi dalle prove. Così la riforma è stata sospesa nei giorni scorsi dai giudici del Consiglio di Stato, con il parere 137/2023, in attesa di ricevere dal ministero della Pa dati certi sui risultati ottenuti finora con le nuove selezioni pubbliche.

Lo stop

Torneremo ai concorsi con carta e penna? Chiaramente non è questa la via che il Consiglio di Stato sprona a seguire. Semplicemente manca un monitoraggio degli effetti prodotti dalla svolta, con dati e numeri certi, senza i quali i vantaggi della riforma, per usare il termine scelto dai giudici, restano «indimostrati». Ma non solo. Serve anche predisporre presidi di verifica e controllo delle tecnologie digitali, dicono i giudici, per evitare ricorsi dovuti a casi di esclusione dalle procedure concorsuali a causa di errori nella domanda telematica. Il governo poi deve correre ai ripari sul fronte della parità di genere perché, come fatto notare dal Consiglio di Stato, mancano nelle nuove norme riferimenti relativi all’adeguamento dei meccanismi di riserva e dei titoli di preferenza per assicurare la parità di genere. Insomma, il restyling delle procedure concorsuali convince solo fino a un certo punto e necessita di correttivi urgenti. 

Il ministro

Il flop dei concorsi pubblici, alimentato dalle rinunce dei vincitori che all’ultimo decidono di non andare a occupare il posto conquistato perché nel frattempo ne hanno trovato uno migliore, è stato affrontato nei giorni scorsi anche dal ministro Zangrillo. Il numero uno di Palazzo Vidoni è partito da una premessa: «Siamo passati da un tempo medio della durata delle procedure di concorso nel 2019, quindi prima della pandemia, di 780 giorni circa, a 169 giorni nel 2022. Un risultato che ci pone tra i migliori in Europa». E ha detto di aver creato un gruppo di lavoro di esperti per una riforma dei concorsi che tagli tutti i tempi morti delle varie fasi delle procedure. Un obiettivo ambizioso, un lavoro non semplice, per il quale si consiglia il machete e non le forbici da sarto. La promessa: «Dal bando all’assunzione passeranno sei mesi, 180 giorni in tutto».

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