Due anni di riduzione, da 90 a 70 euro, invece che uno soltanto. Governo pronto a raddoppiare lo sconto del canone Rai che, dunque, avrà efficacia biennale e non annuale a valere così sia per il 2024 che per il 2025. È questa, appunto, l’ipotesi sul tavolo dell’esecutivo che, al momento, ha limitato il taglio solo al prossimo anno. Con questa soluzione, l’azienda di Stato avrebbe un orizzonte temporale più ampio per poter programmare investimenti e strategie.
La manovra
Attualmente l’articolo 8 della legge di Bilancio presentata in parlamento prevede che la riduzione del canone da 90 a 70 euro si traduca in un una diminuzione degli introiti per circa 440 milioni. Il taglio non sarà però tutto a carico della Rai, avendo il governo chiarito, nelle scorse settimane, che le risorse verranno integrate attraverso un sostegno pubblico (in tre rate di pari importo nei mesi di gennaio, marzo e giugno 2024) e che la dotazione complessiva per Viale Mazzini subirà solo “una lieve modifica in linea con i tagli previsti per tutti i ministeri”, da 440 milioni a 420 milioni. In pratica la “dieta” sarà solo di 20 milioni. Le risorse da canone, in base al consuntivo 2022 e nell’assestamento 2023, ammontano complessivamente a circa 1,85 miliardi e sono destinate pressoché integralmente alla Rai, ad eccezione di una quota di 110 milioni annui, il cosiddetto extragettito, assegnata al Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione. Accanto a queste, la Rai può contare sui ricavi da pubblicità, che dall’analisi del budget 2023 hanno mostrato una leggera flessione, da 640 a 622 milioni di euro.
Tensioni
La dieta inflitta alla Tv di Stato sta agitando i vertici dell’azienda. La Rai, ha fatto notare nei giorni scorsi il dg Giampaolo Rossi, “è uno dei quattro servizi pubblici più grandi d’Europa per dimensione, funzione, contratti di servizio, ed è quello con il canone più basso, non da ora ma dal 2013-2014, quando fu abbassato a 90 euro. E di quel canone netto una parte viene sottratta alla Rai e indirizzato ad altre funzioni. La Bbc, France Television e il servizio pubblico tedesco hanno risorse di gran lunga superiore alla Rai e la Rai in realtà ha una produzione di contenuti pari a quella delle altri Paesi europei”. Ecco perché la Rai “agisce anche sul mercato pubblicitario. Al di là dell’operazione inserita all’interno della finanziaria che tutto sommato non modifica il tema delle risorse pubbliche della Rai – ha proseguito Rossi – c’è però un ragionamento complessivo che va fatto sul tema del finanziamento pubblico. Noi viviamo in una fase storica in cui i mercati televisivi sono aggrediti da player internazionali che entrano in questi mercati e disintermediano i mercati stessi. Questo è il motivo per cui in tutti i Paesi europei la difesa servizio pubblico è una priorità non solo democratica, perché il servizio pubblico esiste in funzione del fatto che deve garantire il pluralismo delle narrazioni, ma anche dal punto di vista industriale, perché garantiscono la tenuta di filiere industriali soprattutto nel mondo della cultura, che altrimenti avrebbero difficoltà a sopravvivere da sole”.