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Boom dei pensionati, ma il governo fena sulla riforma

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Sempre più anziani e sempre meno lavoratori. Il paese invecchia e presto le pensioni rischiano di superare gli italiani attivi. Già adesso in 39 province (il 37 per cento del totale), quasi tutte meridionali, i pensionati sono più degli occupati. Il record a Reggio Calabria 100 contro 67. Le cause? L’invecchiamento, la disoccupazione, lo spopolamento del mezzogiorno e le molte forme dipensionamento anticipato. Fra 20 anni ci saranno 5 milioni di over 65 in più e un milione di under 15 in meno. Una dinamica che rappresenta una bomba ad orologeria per il sistema previdenziale. Che già oggi ha numeri da brivido: 22 milioni di occupati contro 16 milioni di pensionati. E il pareggio non è poi così lontano. Di fronte a questa situazione ci si aspetterebbe, da parte del governo, una reazione. Ma la ventilata riforma previdenziale tarda. La tenuta dei conti pubblici e la linea di prudenza adottata dal governo nel Def (che non indica alcun investimento per la previdenza) non consentono di riavviare subito il cantiere. Ad ammetterlo, alcuna settimane fa è stata la stessa ministra del Lavoro e delle Politiche sociali, Marina Calderone: “Confido – ha spiegato – che subito dopo l’estate ci sia la possibilità di aprire ad un primo approccio della riforma”, che quindi vedrà la luce più avanti, con la possibilità di attuarla dall’anno prossimo, per superare la legge Fornero e introdurre nuove misure di flessibilità in uscita”.

I fondi

Le risorse, in ogni caso, sono praticamente inesistenti: come ricordato nel Def sono previsti “interventi in materia didisciplina pensionistica” tra i 21 collegati alla manovra 2023-2025. Ma senza indicare i fondi. Nel Documento di economia e finanza, invece, sono previsti tre miliardi in deficit per un nuovo taglio del cuneo fiscale: dopo il taglio nella legge di Bilancio di 3 punti percentuali per i redditi fino a 25 mila euro e di 2 punti fino a 35 mila euro, ora è così arrivata una ulteriore riduzione fino a 7 punti. La situazione previdenziale, dunque, vive una fase di stallo. Fino a fine anno è in vigore Quota 103, ovvero la possibilità diandare in pensione con almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi.

Sul tavolo del confronto tra il governo e le parti sociali, aperto ad inizio anno e poi messo in standby, anche la richiesta di Quota 41 – cavallo di battaglia della Lega ma misura costosa da attuare – di uscire con 41 anni di contributi a prescindere dall’età; o, come sostenuto da tempo dai sindacati, di consentire l’uscita a partire dai 62 anni di età, di disegnare una pensione di garanzia per i giovani e di tornare alla versione originaria diOpzione donna, con 35 anni di contributi e 58-59 anni di età.

L’allarme

Nel frattempo al ministero è stato ricostituto il Nucleo di valutazione della spesa previdenziale “per portarci avanti e tenerci pronti”, ha chiarito Calderone, rispetto agli interventi prioritari da mettere in campo non appena possibile. A pesare sulla tenuta del sistema pensionistico italiano, come detto, è soprattutto l’invecchiamento della popolazione e la conseguente riduzione delle persone in età lavorativa: già oggi gli over 50 rappresentano il 39,% degli occupati. Secondo un’analisi della Fondazione Di Vittorio, il calo della popolazione e il suo invecchiamento nei prossimi 20 anni (+4,9 milioni gli over 65 e -900 mila gli under 15) faranno crollare il numero delle persone in età lavorativa, vale a dire quelle che hanno tra i 15 e i 64 anni di età, di 6,9 milioni di unità nel 2043.

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