Non avevo dubbi che sarebbe finita così: Alberto Miraglia, il dipendente comunale di Sanremo, diventato suo malgrado simbolo degli assenteisti, ha vinto anche in Cassazione, il suo licenziamento fu illegittimo e il Comune dovrà pagargli circa 230 mila euro lordi, ma alla fine la cifra potrà essere anche superiore (e di molto). In ballo, oltre tutti gli arretrati ci sono, infatti, anche i danni per 86 giorni di carcere ingiustamente subiti e quelli reputazionali per un video che ha fatto letteralmente il giro del mondo. Ora è verità sancita da un tribunale: l’ex vigile non ha truffato lo Stato, non era un furbetto del cartellino, che si era alzato dal letto solo per passare i badge nel lettore e tornarsene subito a dormire.
La sua versione, all’epoca irrisa da media e opinione pubblica influenzata dagli stessi, era la pura verità: dopo aver aperto i cancelli del mercato comunale alle 5.30 come tutti i giorni (mansione aggiuntiva in cambio della quale aveva ottenuto un alloggio nello stesso edificio), Miraglia, trovandosi da solo nella struttura, praticamente sul pianerottolo di casa, dopo un notte in cui la canicola imperversava, non si era ancora infilato la divisa prima di timbrare il cartellino, ma lo aveva fatto subito dopo, per prendere servizio regolarmente come vigile urbano alle 6 del mattino. Quindi nessuna truffa nei confronti dello Stato (e non lo dico io ma la magistratura dopo tre gradi di giudizio). Anche se, a ben vedere, una truffa effettivamente c’è stata ma contro la verità e a compierla non è stato Miraglia.
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Sì, una truffa! Come altro si può definire la diffusione virale, a livello planetario (e non è un’iperbole), di un video decontestualizzato e ingannevole, servito per montare su una bella campagna contro i dipendenti pubblici lavativi e assenteisti. Come si ricorderà il video era stato diffuso dagli inquirenti stessi a corredo di una inchiesta sui dipendenti comunali che aveva portato a diversi provvedimenti giudiziari, tra cui anche alcuni arresti. Il video era la ciliegina sulla torta, perché è evidente che l’uomo in mutande colpisce l’immaginazione (il fatto che sia sul pianerottolo di casa, da solo, senza nessuno in giro, perché gli uffici a quell’ora erano tutti deserti, chi vuoi che lo noti). È un’immagine anche buffa, fa ridere, indigna, attira l’attenzione. È la logica del clickbait (letteralmente: esca da click), la più diffusa strategia di marketing dei siti web per convogliare traffico sulle proprie pagine e aumentare il numero delle visualizzazioni. Di solito si punta su titoli ad effetto, per lo più fuorvianti o su immagini insolite oppure estreme. Soltanto che questa volta non si trattava di un gattino che suonava il pianoforte, di un palazzo abbattuto con la dinamite o di un deficiente che si tuffava da una scogliera, ma di un povero cristo da esporre alla gogna come emblema di una categoria di fannulloni.
L’associazione dipendente pubblico = fancazzista è una delle fake news più difficili da estirpare. Troppa rabbia per le lungaggini e le astruserie della burocrazia impedisce di capire che le prime vittime di un sistema complesso e spesso male organizzato sono proprio coloro che vi lavorano, costretti a fare i salti mortali tra le procedure da rispettare, i mezzi tecnici carenti e la ormai cronica carenza di organici, tutte realtà che l’utente non vede, mentre l’unico che vede e con cui inevitabilmente se la prende, è chi sta allo sportello. Un uomo e il suo timbro (anche se ormai è tutto digitale), questa è l’immagine che resta nell’immaginario ed è così da molto più di un secolo, da Policarpo De Tappetti, ufficiale di scrittura, (personaggio del romanzo di Luigi Armando Vassallo, pubblicato nel 1903 e rilanciato poi nel 1959 da un film di Mario Soldati, interpretato da Renato Rascel), fino al timbratore seriale di permessi di caccia e pesca, tenacemente attaccato al posto fisso, messo in scena da Checco Zalone in Quo Vado. Se vogliamo poi un riferimento più colto, possiamo pensare all’Ispettore Generale, opera teatrale satirica con cui Nikolaj Gogol ridicolizzò la burocrazia zarista nel 1836 (tanto per dire quanto questa sia storia antica).
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Mai, per esempio, che ci si ricordi che è l’immagine di un dipendente pubblico anche quella dell’infermiera che ai tempi del covid si accascia sfinita dopo un turno infinito e con sul volto i segni della mascherina, o quella del pompiere con la faccia affumicata e con il bambino in braccio, salvato da qualche rogo. Sì, perché è lavoratore pubblico anche la maestra a cui affidiamo i nostri figli, il ricercatore che passa la sua vita in laboratorio a studiare nuove cure, la guardia costiera che salva vite in mare. Il lavoro pubblico è il nostro welfare, è chi fa sì che il primo di ogni mese il pensionato abbia i suoi soldi in banca o alla posta, chi fa funzionare i pronto soccorso, chi pattuglia le strade, chi veste una divisa.
Una pubblicità di qualche anno fa mostrava tutte le attività della Benemerita a servizio del cittadino, per poi concludere: “Carabinieri, altro che barzellette!”. Dovremmo cominciare ad estendere il ragionamento: “Lavoratori pubblici, altro che fannulloni!”. Concludendo, quindi, dopo la sentenza della Cassazione se qualcuno avesse un po’ di dignità dovrebbe cominciare a chiedere scusa, e non al solo vigile Miraglia.
Ai lettori. Questo appuntamento domenicale, che ha riscosso il vostro benevolo apprezzamento, riprenderà a partire da settembre. Ad agosto sarà sostituito dai consenti articoli e approfondimenti della redazione di PaMagazine. A tutti auguro buone ferie