Dopo più di venti anni si sta realizzando il sogno di Umberto Bossi: rimandare a casa i tanti docenti meridionali che insegnano al Nord. Solo che a rispedirli al di sotto del Garigliano non è stato il federalismo scolastico, vagheggiato per decenni dal Senatur, ma più semplicemente il carovita diventato insostenibile per stipendi che già erano bassi e ora sono anche falcidiati dall’inflazione. È cronaca recente l’ondata di richieste di trasferimento che si è abbattuta sui provveditorati lombardi, nell’ultimo anno 17 mila insegnanti hanno richiesto di poter cambiare aria e più della metà di loro vorrebbe spostarsi in Sicilia, Campania, Calabria e Puglia, per lo più luoghi di provenienza ma soprattutto regioni dove con 1500 euro al mese si può campare meglio che a Milano, dove una stanza (non una casa, una semplice stanza) in affitto costa 6-700 euro e dove, secondo un’indagine Codacons realizzata mettendo a confronto i prezzi di beni e servizi in 17 province italiane, soltanto per mangiare si spende il 47% in più che a Napoli.
Statali, ogni mese l’inflazione si mangia 342 euro di stipendio. Allarme di Confsal-Unsa
I numeri da esodo biblico degli insegnanti con la valigia in mano fanno capire più di tanti discorsi il senso dell’allarme lanciato da Confsal-Unsa nel suo ultimo comunicato in cui il sindacato che edita Pa Magazine ha reso noto come negli ultimi 12 mesi l’inflazione abbia eroso in media 342 euro al mese dalle buste paga degli statali, ovvero circa 4.448 euro l’anno. E certo non è bastato a compensare il danno subito l’aumento una tantum dell’1,5% concesso dal governo per ridurre gli effetti del mancato rinnovo di un contratto scaduto da oltre 20 mesi. “Nel tempo come Unsa”, ha spiegato il segretario generale Massimo Battaglia, “abbiamo evidenziato come i rinnovi contrattuali, nelle quantità e nelle tempistiche, non abbiano rispettato il corretto trend rivalutativo e oggi tali dinamiche sono maggiormente gravate da un’inflazione che sta erodendo pesantemente le retribuzioni”. E i conti sono presto fatti: nel 2022 l’inflazione è arrivata all’8,1%, mentre quest’anno si attesta al 5,8%, quindi applicando l’attuale coefficiente di rivalutazione calcolato dall’Istat (1,139%)una retribuzione media che nel 2021 era pari a 32.000 euro, per mantenere lo stesso potere d’acquisto dovrebbe essere portata a 36.448,00, la differenza, per l’appunto 4.448 euro, corrispondenti a 342,15 euro al mese, rappresentano plasticamente la misura dell’impoverimento subito in un solo anno dai dipendenti pubblici.
Stipendi bassi e precariato, flop concorso Sud
Sono dati che non possono non avere un impatto su una tendenza che si era già manifestata da tempo: la sempre minore attrattività dei posti pubblici soprattutto nelle regioni settentrionali. Ne aveva parlato nel maggio 2022 in toni allarmati l’allora ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini, quando aveva illustrato alla commissione Trasporti della Camera i deludenti risultati degli ultimi concorsi effettuati dal suo dicastero. Dei 320 vincitori nel concorso per funzionari di amministrazione, aveva rivelato il ministro, “una quota consistente ha rinunciato evitando di prendere servizio a meno che non fosse indicata una sede al Sud”. Sempre Giovannini aveva aggiunto “La stessa cosa temiamo che accada per il primo concorso rivolto agli ingegneri”.
Pensioni, allo studio premi per chi rinvia l’uscita (e stop alle fughe dal lavoro pubblico)
A confermare il trend c’è l’esempio della recente selezione Inps, dove dei 470 vincitori assegnati alla Lombardia, ormai considerata sede disagiata proprio a causa del caro-vita, soltanto 355 si sono presentati in servizio. Le rinunce sono state, infatti, del 29%, contro un dato nazionale dell’8%. E pensare che i buchi in organico nelle sedi lombarde dell’Istituto di Previdenza prima del concorso assommavano a 830 unità. In Veneto, poi, dove già mancano all’appello oltre mille medici e due mila infermieri, ci sono anche 3.500 operatori sociosanitari in meno e per non bloccare le 351 case di riposo regionali la Regione ha deciso di aprire la porta a quanti sono stati bocciati negli ultimi concorsi, potranno infatti partecipare ad una sessione di recupero senza dover ripetere l’intero ciclo di lezioni.
La Sanità è un settore dove l’esodo verso il Sud si sta facendo sempre più consistente e non riguarda più solo Piemonte, Lombardia e Triveneto ma coinvolge anche Liguria ed Emilia Romagna. Nella Ausl di Bologna, per esempio negli ultimi mesi si sono dimessi senza preavviso 40 infermieri che si aggiungono ai 270 che avevano presentato le dimissioni nello scorso anno ea i 180 che avevano lasciato il lavoro nel 2021. Per lo più si tratta di personale che ha scelto di ritornare al Sud e non certo per la maggiore efficienza del sistema sanitario ma per il minor costo della vita. Continuando così, insomma, c’è il rischio che il pubblico impiego si stia effettuando il percorso inverso della Linea della Palma, metafora scelta da Leonardo Sciascia per spiegare l’espansione verso il Nord di una certa sicilianità, non solo botanica. E per restare nella metafora letteraria, se nei duri anni Trenta Cristo si era fermato a Eboli, per i lavoratori pubblici il confine potrebbe non trovarsi molto più in alto. Forse nemmeno a Roma, vista l’impennata dei costi, magari si fermeranno ad Artena.