Aumenti compresi tra l’1,5 e il 6,4 per cento. L’Inps ha reso noti gli incrementi delle pensioni previsto dall’ultima legge di bilancio. Questo aumento, spiega una recente circolare dell’istituto di previdenza, sarà applicato ai trattamenti previdenziali mensili di importo pari o inferiore al trattamento minimo Inps.
Aumenti
L’incremento sarà temporaneo e consiste, appunto, in un aumento del 1,5% per il 2023 e del 2,7% per il 2024. Tale aumento sarà maggiore per i pensionati con età pari o superiore a 75 anni, che vedranno un aumento del 6,4% per il 2023. L’incremento verrà calcolato sulla base del trattamento pensionistico lordo complessivo, che include tutti i trattamenti previdenziali soggetti a Irpef erogati dall’Inps o da enti diversi.
Saranno escluse dalla base di calcolo le prestazioni fiscalmente non imponibili, le prestazioni assistenziali, le prestazioni facoltative e le prestazioni di accompagnamento alla pensione. Il calcolo dell’incremento sarà effettuato sulla base dell’importo mensile complessivo lordo delle pensioni di cui l’interessato è titolare, e verrà attribuito sia alle pensioni integrate al trattamento minimo sia alle pensioni non integrate il cui importo a calcolo sia pari o inferiore al trattamento minimo Inps. Così, ad esempio, se un pensionato ha una pensione di 563,74 euro, l’incremento del 1,5% porterebbe il suo importo a 572,20 euro. Se l’interessato ha un’età pari o superiore a 75 anni, l’incremento del 6,4% porterebbe il suo importo a 599,82 euro. L’incremento sarà corrisposto con la stessa cadenza di pagamento della pensione, e verrà evidenziato sul cedolino di dettaglio del pagamento. Gli arretrati spettanti verranno corrisposti con il primo pagamento.
La riforma al palo
Intanto sembra allungarsi di molto i tempi per la riforma strutturale delle pensioni. La tenuta dei conti pubblici e la linea di prudenza adottata dal governo nel Def non consentono di riavviare subito il cantiere. Ad ammetterlo, nei giorni scorsi, è stata la stessa ministra del Lavoro e delle Politiche sociali, Marina Calderone: “Confido – ha spiegato – che subito dopo l’estate ci sia la possibilità di aprire ad un primo approccio della riforma”, che quindi vedrà la luce più avanti, con la possibilità di attuarla dall’anno prossimo, per superare la legge Fornero e introdurre nuove misure di flessibilità in uscita. Le risorse, in ogni caso, sono praticamente inesistenti: nel Def sono previsti “interventi in materia di disciplina pensionistica” tra i 21 collegati alla manovra 2023-2025. Ma senza indicare i fondi. Nel Documento di economia e finanza, invece, sono previsti tre miliardi in deficit per un nuovo taglio del cuneo fiscale: dopo il taglio nella legge di Bilancio di 3 punti percentuali per i redditi fino a 25 mila euro e di 2 punti fino a 35 mila euro, ora è in arrivo la riduzione di un ulteriore punto, che a breve sarà meglio dettagliato. La situazione previdenziale, dunque, vive una fase di stallo. Fino a fine anno è in vigore Quota 103, ovvero la possibilità di andare in pensione con almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi. Sul tavolo del confronto tra il governo e le parti sociali, aperto ad inizio anno e poi messo in standby, anche la richiesta di Quota 41 – cavallo di battaglia della Lega ma misura costosa da attuare – di uscire con 41 anni di contributi a prescindere dall’età; o, come sostenuto da tempo dai sindacati, di consentire l’uscita a partire dai 62 anni dietà, di disegnare una pensione di garanzia per i giovani e di tornare alla versione originaria di Opzione donna, con 35 anni di contributi e 58-59 anni di età. Nel frattempo al ministero è stato ricostituto il Nucleo di valutazione della spesa previdenziale “per portarci avanti e tenerci pronti”, ha chiarito Calderone, rispetto agli interventi prioritari da mettere in campo non appena possibile.