Per 2,5 milioni di italiani curarsi è diventata una missione quasi impossibile. E il motivo non è più legato, come negli anni scorsi, alla paura di contrarre il Covid, o a questioni di natura economica. Sono le liste di attesa interminabili, lunghe mesi e a volte persino anni, a determinare la maggior parte delle rinunce. Addirittura, sono costretti a gettare la spugna 1,7 milioni di italiani con più malattie.
I ritardi
L’ultimo report della onlus Cittadinanzattiva fotografa lunghe code, anche nelle regioni del Nord: in Liguria, per esempio, per una visita cardiologica con priorità D si registrano tempi di attesa pari a 159 giorni. Per una mammografia con priorità P (da svolgere quindi entro 120 giorni) l’attesa può arrivare a 253 giorni. A Roma, invece, per la visita pneumologica e l’ecografia addominale completa, entrambe con priorità P (entro 120 giorni), i tempi sono rispettati nel 61,6% e nel 58,6% dei casi. In Puglia, nella Asl di Lecce, nessuna visita pneumologica con priorità D è garantita entro i 30 giorni previsti. E nell’ASL di Bari soltanto il 9,38% delle visite ginecologiche con priorità B e il 14,39% delle ecografie complete all’addome, sempre con priorità B, sono garantite entro i 10 giorni previsti. Va ancora peggio in Campania, dove l’intramoenia è diventata per paradosso la principale porta di accesso dei cittadini al Servizio sanitario nazionale. Al Cardarelli di Napoli, per esempio, stando ai dati raccolti dalla onlus, nessun eco addome è stato somministrato nel pubblico, mentre ne sono stati fatti 111 in intramoenia.
Investimenti al palo
Sempre la onlus spiega che, dal punto di vista delle risorse non utilizzate, ancora un terzo dei 500 milioni di euro messi a disposizione dal livello centrale per il recupero delle prestazioni non erogate a causa della pandemia non sono stati impiegati dalle Regioni: «Si tratta di circa 165 milioni che rischiano di andare sprecati». Gli ultimi monitoraggi pubblici dicono che il Molise ha investito solo l’1,7% di quanto aveva a disposizione, circa 2,5 milioni. In Sardegna l’asticella arriva al 26%, in Sicilia al 28% e in Calabria al 29%.
Istat
Anche le indagini Istat hanno rilevato una riduzione della quota di persone che ha effettuato visite specialistiche, dal 42,3% nel 2019 al 38,8% nel 2022, o accertamenti diagnostici, dal 35,7% al 32,0%. La flessione riguarda tutte le fasce d’età, ma è maggiore in quella degli anziani, con riduzioni di sei punti per le donne, e comunque anche tra i minori che ricorrono a visite specialistiche o tra le donne adulte per gli accertamenti. Dai dati Istat, dunque, emerge che nel 2022 non si è riusciti a recuperare i livelli di prestazioni sanitarie pre-pandemia, in particolare per un maggior peso della rinuncia alle prestazioni causato dalle lunghe liste di attesa. E rispetto al 2019 è aumentata significativamente la quota di persone che dichiara di aver pagato interamente di tasca sua le visite specialistiche (dal 37% al 41,8% nel 2022) e gli accertamenti diagnostici (dal 23% al 27,6% nel 2022).